Esiste davvero il rischio che la classe dirigente del Belpaese consegni progressivamente le istituzioni e la gestione del potere alle organizzazioni del malaffare? Come ogni organizzazione statuale l’Italia conosce il fenomeno della corruzione, ma è il suo dilagare, la sua natura strutturale, la sua enfasi che pone problemi di analisi e interpretazione. La democrazia repubblicana, fragile e incompiuta costituzionalmente, sembra aver convissuto da sempre con la corruzione. Il suo radicarsi nei comportamenti collettivi è però un trend, una linea di tendenza che ha ormai sconvolto l’assetto istituzionale e le regole della civile convivenza, più di recente è divenuta un vero e proprio “sistema paese”. È in forza della corruzione e della battaglia contro la corruzione che è entrata in crisi irreversibile la Prima Repubblica, ed è in forza della corruzione che si è retta la Seconda Repubblica. Il sistema politico ne è attore e vittima al tempo stesso ed è all’ombra di un patto tra potere e corruzione che si è giunti al limite della catastrofe economica e civile. Le denunce si moltiplicano, i casi di corruzione dominano le cronache di ogni giorno, la visibilità del sistema è a tutti nota e la capacità/compiacenza di convivere con l’illegalità è divenuta costume, tratto della italianità.***

Lo spettacolo è questo – Corruzione, malaffare e Repubblica – Corruzione sempre e ovunque? – Privilegi, lobby, gruppi di pressione, cricche … – Un cerchio vizioso – Fare sistema – Il senso del limite: moderazione

Lo spettacolo è questo

Istantaneo, quotidiano, coinvolgente. È trasparente, in bianco e nero o a colori, e la sua visibilità è ormai celebrazione, diviene spettacolo, rappresentazione e paradigma della socialità celebrata dalla grancassa mediatica. La corruzione dilaga, travolge i confini della legalità e fa sistema. Rubano tutti, a destra, a sinistra, sopra e sotto, al nord, al centro e al sud. Rubano i ricchi per non essere poveri e i poveri per diventare ricchi. E così dalla oligarchia siamo passati alla cleptocrazia perché l’esempio viene dall’alto, le radici da molto lontano. Al centro della scena, inutile dirlo, è la classe politica a tutti i livelli: centro, periferia, vertici e base, non si salva nessuno. Si dirà che no, che vi sono persone oneste, galantuomini vecchio stampo, ma costoro convivono e coesistono con i corrotti senza né drammi; né crisi di coscienza. E il ceto politico è solo il mediatore del malaffare, i concussi sono tutti nella classe dirigente, imprenditori, professionisti, manager. Per effetto dell’impunità e del progressiva ignoranza del codice penale, la corruttela fa scuola, diviene stile di vita, vettore dell’economia e attrae vaste fasce del Belpaese. Rubano tutti e l’esempio viene da lontano.
Nella celebrazione del Centocinquantenario è mancato un contributo a questa storia “al nero” dell’Unità nazionale. Ma il padre della Patria, Vittorio Emanuele, aveva, fin da subito fissato i termini del problema: “ci sono due modi per governare gli italiani: con le baionette o con la corruzione” e fece uso di entrambe con spregiudicata brutalità. È il marchio di origine di una monarchia poco democratica fondata sull’incompetenza e sulle tangenti. L’uso e l’abuso della corruzione si configura come una procedura di governo.
Gli scandali per corruzione, noti e meno noti, del corso risorgimentale e unitario meriterebbero davvero una analisi sistemica. Ma dall’affare delle Regie tabaccherie, a quello del Canale Cavour, per arrivare alla Banca romana, favoritismi, appropriazioni indebite, truffe ai danni dei contribuenti, arricchimenti illeciti negli appalti, conflitti di interesse, sperpero del pubblico erario, offrono l’immagine di un parlamento e di tutta una classe politica che altro non se non “una zattera della Medusa, dove tutti i naufraghi sono aggrappati, tutti i superstiti, tutti gli sbandati. È un ospizio degli invalidi”. E oggi eccola ancora qui ce la abbiamo sotto gli occhi.
Le vicende belliche, la guerra civile, la Repubblica, il Miracolo economico mettono in scena altre rappresentazione, ben più drammatiche, ben più eroiche. Naturalmente gli scandali non mancano mai, ma il Belpaese appare robusto, forte dei suoi anticorpi: si guarda avanti verso i confini di una Italia migliore. Poi, a poco a poco, la corruzione, la mala-amministrazione, il malaffare della classe dirigente riacquista tutta la sua centralità fino a divenire la teoria unica o il pensiero unificato del potere.
A guardare la scena vien da pensare che la classe dirigente stia consapevolmente consegnando il Paese alla pratica della illegalità: leggi, le organizzazione criminali.

Corruzione, malaffare e Repubblica

1974 – Pertini. “La crisi dei partiti, sovrapponendosi alla crisi dell’economia, ha gettato il paese in uno stato di malessere profondo. Perché il problema a mio parere è semplice; non c’è ragione al mondo che giustifichi la copertura dì uri disonesto, anche se deputato. Ma non ti rendi conto – m’ha rimproverato uno – che qui crolla tutto, è in gioco l’intero sistema? Dico io: me ne infischio del sistema, se dà ragione ai ladri. Lo scandalo più intollerabile sarebbe quello di soffocare lo scandalo. L’opinione pubblica non lo tollererebbe”.
1981 – Spadolini. «La questione morale è sotto gli occhi di tutti e condivido quanto dice il segretario del Pei sulle responsabilità dei partiti e sulla loro degenerazione. Tuttavia, voglio precisare che tutto questo dimostra la debolezza delle forze politiche, non la loro forza». “Sono qui per stroncare lassismo, camorrismo, clientele. Questo non è un governo che possa essere buttato giù da una decisione presa da apparati di partito. Perciò chi volesse provocare la crisi dovrebbe votarci contro in Parlamento, a viso aperto”.
1981 – Enrico Berlinguer. “La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano”.
1992 – Mani pulite  – Il sistema collassa e l’intera classe politica è travolta dalla prassi della corruzione, della malammintrazione e del malaffare. Per un attimo si ha l’impressione che tutto possa cambiare: piazza pulita. Norberto Bobbio: “Ma non vedi? Non vedi quello che ci accade introno, l’egoismo, l’arroganza, la superficialità, la cupidigia di potere, la demagogia, l’affarismo? […] Gli spezzoni dell’oligarchia sono lì, le loro rovine ingombrano il terreno e non c’è nessuna forza nuova e giovane che li rimuova e dia inizio alla ricostruzione”.
1992 – 2004 – Emergenza delle organizzazioni criminali. si apre una trattativa, un tentativo di “patto” () ancor oggi da ricostruire in tutti i suoi aspetti, tra la mafia e alcuni corpi dello stato che secondo alcuni sarebbe stato alla base della Seconda Repubblica. Si consolida la procedura del voto di scambio. Si assiste alla penetrazione capillare delle organizzazioni criminali nelle regioni del Nord, la classe dirigente si confonde con il tessuto della illegalità dilagante.
2008 – Il rapporto sul “fenomeno della corruzione in Italia” dell’Alto Commissario Anticorruzione offre una analisi attenta e, in qualche modo didattica, del problema. “In conclusione, l’Alto Commissario, intende in questa sede assumere l’impegno di presentare ogni anno, in occasione della giornata mondiale dell’anticorruzione, una mappa non solo sullo stato della corruzione, ma anche sulla effettiva adozione delle misure anti corruzione intraprese a tutti i livelli nel corso dell’anno, monitorando il progresso delle iniziative assunte a tutti il livelli, a partire proprio dall’azione dell’Alto Commissario”. L’Alto Commissariato è stato sciolto e non se ne è parlato più: sopresso
2011 – Nel Rapporto Transparency Inrenational nella classifica degli Stati percepiti più corrotti il Belpaese guadagna il non commendevole posto di 69° su 182 paesi presi in esame e nell’UE è posizionato di poco avanti alla Grecia, Romania e Bulgaria. Secondo il rapporto dell’Economic Index Forum per il 2011, “la corruzione e la criminalità organizzata costituiscono i maggiori freni per chi vuole investire i Italia e in particolare per la crescita economica del Sud. La corruzione mina la fiducia degli investitori stranieri nel mercato italiano e minaccia la libertà d’impresa con mezzi inaccettabili per uno Stato di diritto”.
2012 – Relazione della Corte dei Conti. “La lotta alla corruzione, specie se questa viene intesa nel senso più ampio di malamministrazione, svolge un ruolo determinante in quanto consente di liberare energie compresse, che possono aiutare lo sviluppo dei mercati e favorire l’emersione di attività economiche che giovano al sistema generale della fiscalità” […]. La corruzione è percepita in Italia come fenomeno consueto e diffuso, che interessa numerosi settori di attività […]. Compito primario per i governi del presente e del futuro è dunque quello di combattere la corruzione con strumenti e risorse adeguate e quello di avviare una puntuale attività di semplificazione delle procedure amministrative che limitano la capacità produttiva del Paese. Il Presidente della Corte dei conti nel corso di recenti audizioni parlamentari e in occasione di dichiarazioni rilasciate alla stampa ha rappresentato l’impari lotta che la magistratura contabile ha ingaggiato contro la corruzione, verso la quale non si avverte un reale, profondo, sostanziale rivolgimento morale che porti all’emersione di innumerevoli casi perseguibili dalla Procura contabile […]”.

Corruzione sempre e ovunque?

Una procedura di nascondimento e una formula assolutoria generalmente diffusa nell’opinione della classe dirigente e di crescenti strati dell’opinione pubblica in merito alla dimensioni e alla persistenza del fenomeno è quella di accettare l’evidenza che la corruzione è sempre e ovunque: l’Italia non fa eccezione.
Del resto l’etimo è di origine latina (corruptus che sta a significare scorretto, storpiato, sedotto, disonorato, guasto moralmente e moralmente storpiato). La fattispecie giuridica si iscrive nel fondamenti del diritto romano. Da Demostene a Cesare nell’antichità, passando per Richelieu e Mazzarino, da Sir Robert Walpole al suo contemporaneo Federico II di Prussia, dalla famiglia de’ Medici in Toscana a Napoleone, fino Cavour, Salandra, Giolitti, per arrivare a personaggi contemporanei del calibro dei nostrani Andreotti e Berlusconi la corruzione è un viatico del potere. Si legge che le grandi figure del mondo occidentale sono anche icone e simboli della corruzione. Piaccia o non piaccia la corruzione è un indicatore (un valore aggiunto o un disvalore) del potere, una ragione di aggregazione e, in molti casi e circostanze, un motore della politica. Vi sarebbe perfino un discusso e discutibile “fascino discreto” della corruzione.
Del fenomeno come metastasi dei processi di modernizzazione se ne è fatta carico l’ONU denunciandone la portata planetaria come “una minaccia allo sviluppo, alla democrazia e alla stabilità che distorce i mercati, frena la crescita economica, scoraggia gli investimenti esteri, erode il servizio pubblico e la fiducia nei funzionari pubblici”. Rivolgendosi ai governanti di tutto il mondo, l’Organizzazione ha chiesto di denunciare la corruzione e dato vita alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall’Assemblea Generale con la risoluzione nell’ottobre 2003 (che in Italia è lettera morta). Corruzione sempre e ovunque? Si direbbe di sì e lo certifica il fatto che, a mia conoscenza, solo a un attore della scena pubblica è stato riservato l’appellativo di “incorruttibile”, a uno solo: Robespierre. E lo certifica anche il fatto che la tipologia giuridica dei comportamenti riconducibili allo scambio fondato sulla corruzione si è progressivamente dilatata e consolidata in tutte le legislazioni moderne.
Dunque corruzione sempre e ovunque? Sì, se la corruzione “fa sistema” e da devianza diviene comportamento diffuso e procedura di governo.

Privilegi, lobby, gruppi di pressione, cricche …

Perché, inutile dirlo, il patto illecito tra pubblico e privato, la confusione dell’interesse personale con quello generale, tra ordine (definito da regole coercitive dei comportamenti) e mutamento (fondato sulla libertà dei medesimi), che chiamiamo corruzione, malgoverno, malaffare, o governo del malaffare, è un problema irrisolto dell’antropologia politica della modernità. È infatti la creazione della rete istituzionale della stato assoluto e del potere centralizzato e “sovrano” degli stati moderni che crea le condizioni di un conflitto permanente tra stabilità e mutamento, pubblico e privato, suddito e cittadino, sul confine sottile tra legalità e illegalità. Privilegi, lobby, gruppi di pressione, cricche, cosche, famiglie o comunque li voglia chiamare, si accompagnano alla progressiva affermazione dello stato moderno che da “stato di giustizia” (XVI secolo), diviene progressivamente “stato di finanza” (XVII) e poi “stato d’affari” (XVIII) e infine (XIX) “stato imprenditore” (lo stato come impresa produttiva di servizi) per effetto dell’ “invenzione dell’economia” e dell’emergere del pensiero economico come ideologia egemone della modernità. Inutile dirlo è l’ideologia trionfante del capitalismo (a partire dal 1989) che piega il vissuto dell’organizzazione sociale e la sua pratica a codificare il “progresso” come statuto della civiltà umana fondato su indicatori economici. La crisi dell’idea di progresso come processo inarrestabile di emancipazione della cittadinanza, fa così luogo all’emergere dell’homo economicus (codificato nel pensiero della tarda modernità) che diviene modello antropologico universale.
A ben guardare privilegi, lobby, gruppi di pressione, cricche, altro non sono che istituzioni informali le quali realizzano un sistema di relazioni e di scambio fondati su procedure alternative allo stato di diritto e, al tempo stesso, creano ragioni di solidarietà e ambiti di potere del tutto compatibili con i fini di un patto sociale volto alla crescita economica come imperativo sociale. Il benessere materiale e l’equazione tra potere e danaro si confondono con la crescita economica così che l’emancipazione individuale e di gruppo diviene corsa alla ricchezza intollerante di ogni possibile freno. Clientele, parentele, gruppi di interesse, solidarietà verticali, sono organizzazioni “criminali”, perché fondate su contratti illeciti, costituite allo scopo di garantire una ragione di scambio con il (e di compartecipazione al) potere. Nel nostro paese, figlio di processi di modernizzazione senza una cultura laica della modernità, mafia, ndrangheta, camorra, massoneria deviata ne sono l’estrema e più trasparente esemplificazione, ma sono anche la punta dell’iceberg di un intero sistema.

Un cerchio vizioso

In questo modello di azione sociale emerge immediato un paradosso, un anello di retroazione, che fa la dinamica del sistema politco e gli dà scacco.
La sequenza è questa. 1. l’ homo economicus cerca sempre di ottenere il massimo benessere per sé stesso e basa le sue scelte sulla valutazione del suo personale vantaggio; è di per sé intollerante delle regole che gli impediscono la libertà di massimizzare il proprio “profitto”, e per questo è tendenzialmente “amorale” in quanto ignora qualsiasi valore sociale o vi aderisce solo se vi intravede il proprio tornaconto. 2. Ne consegue, diremmo oggi, un conflitto di interessi “strutturale” nei confronti dell’insieme di regole poste in essere dallo Stato di diritto per garantire una crescita individuale compatibile con l’equilibrio dell’intero sistema. 3. Per ottenere il consenso, il potere “sovrano” dello stato deve tuttavia assorbire, negoziare e consentire continue deroghe al sistema rigido del sistema di garanzie sul quale siregge. 4. Si realizza così uno scambio tra potere e consenso oltre i confini della legalità. 5. Infine, questo scambio svuota progressivamente il potere stesso dello stato a beneficio dell’insorgere di corpi e organizzazioni votate alla violazione delle regole.
È un cerchio vizioso che si accompagna al corso storico della modernità e ha posto in crisi l’assolutismo classico nel corso dei secoli XVIII – XIX così come oggi minaccia la sopravvivenza dello stato democratico. Una crisi di sistema.
Il caso emblematico è quello della monarchia francese di Antico Regime che, sull’arco di due secoli, conferisce privilegi (il privilegio è appunto una deroga al diritto comune) in cambio di consenso, creando con ciò continui vincoli al potere sovrano fino al collasso finale che dà luogo alla rivoluzione del 1789. Nel corso del Settecento lo stato di Francia non è più in grado di governare per effetto della frantumazione sociale e dei corpi organizzati in una giungla di privilegi che hanno fatto sistema: il “regime” del privilegio stesso.
Nell’analisi ormai classica del Saggio sui privilegi (1788) che denuncia il cerchio vizioso di questo “regime” si esemplifica, una volta per tutte, il processo che, tramite l’illegalità portata a sistema, ingenera la corruzione del corpo sociale: “Quando i ministri conferiscono a un cittadino un privilegio, si fa strada nel suo animo un interesse particolare che lo rende sordo alle sollecitazioni dell’interesse comune. L’idea di patria si restringe nei limiti angusti della casta della quale entra a fare parte, e tutto il suo impegno, prima posto fruttuosamente a servizio della cosa pubblica, si orienta poco a poco nella direzione opposta. Lo si voleva incoraggiare a fare meglio, e si è finiti col renderlo peggiore. Nasce così in lui come un bisogno di primeggiare sugli altri, un desiderio insaziabile di dominio, purtroppo insito nella natura umana, che costituisce un vero morbo antisociale: sono prevedibili i danni che costui, già per sua essenza nocivo, produce quando l’opinione e la legge gli accordano il loro potente appoggio”.
Sul piano politico gli effetti sono immediati e li abbiamo sotto gli occhi nel nostro presente: la classe dirigente diviene un corpo estraneo al sistema: “se per ottusità politica insistete nel frapporre tra il governo ed il popolo un corpo separato di cittadini, o questo partecipa alle funzioni del governo, e allora non costituisce la classe privilegiata di cui stiamo parlando, o non partecipa alle funzioni essenziali del potere pubblico, e allora un corpo intermedio è soltanto un corpo estraneo e nocivo che interferisce nei rapporti diretti tra governanti e governati e preme sulla macchina pubblica, divenendo quindi, per tutto ciò che lo distingue dal grande corpo dei cittadini, un peso ulteriore per la comunità. Ogni classe di cittadini svolge determinate funzioni e una specifica attività lavorativa, che determinano nel loro insieme il movimento generale della società. Se una di esse pretende di sottrarsi a questa legge generale, non si limiterà ad essere inutile ma starà necessariamente a carico delle altre” (Sieyès).

Fare sistema

A chi la Patria? … Ai ladri verrebbe da dire. E perché non dirlo! Il corrotto è, da tempo, al centro della scena e si direbbe che la cooptazione nella sfera dei partiti e della gestione del potere abbia come precondizione una sorta di socializzazione al malaffare o almeno la capacità di conviverci passivamente. Ma il sistema è robusto e lo certificano dati incontrovertibili. I conti sono presto fatti, li conosciamo tutti e sono sulla bocca di tutti. 60 miliardi è il giro d’affari stimato dalla Corte dei Conti. E non è che punta di un iceberg che si regge e si confonde con la corruttela e l’illegalità divenuta da procedura di governo pratica sociale e stile di vita. I 60 miliardi si intrecciano e fanno sistema con quelli dell’evasione fiscale: 120/150 miliardi a seconda degli indici utilizzati. Questi, a loro volta fanno tutt’uno con il sommerso nel quale gira il riciclo di danaro del fatturato delle organizzazioni criminali (“certificato” intorno al 10/15% del PIL) per un complessivo 25% del PIL. È la ricchezza degli italiani, la risorsa remota e inafferrabile che potrebbe riabilitare la Repubblica agli occhi del mondo e dei miserabili contribuenti.
Poi basta riflettere su altri dati che definiamo in modo improprio “costi della politica”, ma che sono la struttura dell’intero “sistema paese”. 150 mila cariche elettive tributarie a tutti i livelli del voto di scambio e del fatturato della illegalità. Se si considerano le clientele, le cricche e le cosche, questa cifra va moltiplicata almeno per dieci e produce un sistema di potere formidabile e del tutto blindato che rende impossibile ogni “innovazione” sociale. Ecco perché “a tutt’oggi la questione morale in Italia fa tutt’uno con l’occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande” [Berlinguer 1981]
I confini della “casta” e le arre dell’impunità si sono trasformate in un “regime” del malaffare che va ben oltre la classe politica e di governo, investe l’insieme della classe dirigente e gran parte della popolazione.
Come spiegare altrimenti il processo di depoliticizzazione in atto, il discredito del sistema politico (meno del 5% della popolazione manifesta fiducia nei partiti), la proclamazione di uno sciopero della democrazia (il54/55% degli elettori non sembra ormai più interessato ad esercitare il diritto di voto) e infine una “politica rinnegata” da parte della cittadinanza?
Il malaffare divenuto regime è il “principio” sul quale si regge la forma stessa del governo nazionale: la cleptocrazia.

Il senso del limite: moderazione

Le moderne democrazie, lo si sa, sono in realtà oligarchie consolidate di operatori/manager del potere, classi dirigenti, elites, gruppi dominanti (chiamatele come volete, ma nel caso nostro non certo “inttelligencjia”) alle quali è conferito il compito di garantire una gestione degli apparati istituzionali a beneficio della crescita economica nel rispetto dei patti fondamentali (le costituenti e le costituzioni) sottoscritti dagli amministrati. Certo il sistema rappresentativo, ancorché nell’ “era dell’accesso”, fa difetto e il potere, regolando la mobilità sociale, dispone di una continua opzione tra stabilità e mutamento che si dovrebbe esercitare nell’interesse della giustizia, del rispetto dei diritti di cittadinanza.
Montesquieu, che l’Italia la conosceva bene, aveva tratto dall’analisi della nostre repubbliche settecentesche (Venezia e Genova innanzitutto) un particolare ed esclusivo modello di organizzazione politica, una specifica “forma” di governo e di stato: la repubblica “aristocratica”. E, secondo l’autore dell’Esprit des lois che ancor oggi fatesto, il motore di questo governo, la ragione stessa del suo esistere e durare, il suo “principio”, altro non era che lo “spirito di moderazione” dell’oligarchia dominante.
In in un governo oligarchico), precisa Montesquieu, come potrà la classe dominante essere tenuta freno? “Coloro che devono fare eseguire le leggi contro i loro colleghi, sentiranno per prima cosa di agire contro sé stessi. […] Ora un corpo siffatto può controllare sé stesso in due modi soltanto: o mediante una grande virtù, oppure mediante una virtù minore. Cioè una certa moderazione […] La moderazione è dunque l’anima di questi governi”.
Questo senso del limite, questa moderazione della nostra classe dirigente e di governo, è ormai andato perduto e questa oligarchia, priva di virtù, non avendo il senso del limite, non ha più ragione di essere.
La conclusione di queste riflessioni è che la classe dirigente del Paese sta progressivamente consegnando l’Italia alle organizzazioni criminali di ogni marchio e tipo di cui è parte o prigioniera. Non è un processo di degenerazione, è tutta una “storia”, una strategia politica accuratamente sviluppata e una pratica del potere ben consolidata e in essere.
Nessun risveglio, nessun cambiamento di rotta, nessuna rinascita è possibile se non parte da questo dato di realtà. E da qui bisogna partire.