Oltre il declino La Storia e altri racconti

dieci lezioni non accademiche su Storia, declino, politica e futuro

Milano – 2005 – Marzo

per cominciare

Mille e non più mille! Possiamo cominciare così perché, in qualche modo, ogni discorso sulla storia, e che dalla storia prende il via,  ha un che di profetico. La storia parte infatti dal presente, genera il passato e nel passato noi cerchiamo il segreto del futuro: per questo la storia è predittiva e il suo insegnamento apre la strada alla speranza di una consapevole amministrazione del futuro. Per molti secoli, nel corso della cultura europea della modernità, le cose sono andate così. Poiché tuttavia ogni storia non ha solo un inizio, ma anche una fine, cominciamo dal fondo e cioè da una profezia che si è realizzata.

L’avvio del terzo millennio sembra aver chiuso le porte al passato, voltato la pagina del tempo. Ogni anno, ogni giorno e ogni ore del giorno scorre con ritmi e velocità del tutto diverse da quelli che hanno accompagnato il fluire del tempo dei primi duemila anni della storia universale. L’estensione della temporalità e le possibilità della sua misura offrono orizzonti nuovi. Dal nanosecondo che precede il big bang, l’universo si misura in miliardi di anni, la storia della terra si dilata alle centinaia di milioni di anni, il corso delle cellule che ci costituiscono è un labirinto della temporalità e un infinito intreccio di eventi, di storie. Anche l’avventura della vita, l’evoluzione, non si presenta più lineare e graduale: mostra fratture, dispersioni e apparenti incongruenze. Lunghi periodi di quiescenza evolutiva si alternano ad accelerazioni improvvise. L’idea della “natura” umana si modifica insieme a quella di storia dell’umanità. L’uomo, detronizzato dalla sua centralità al mondo e al tempo, ci appare come un evento e una probabilità insieme. E proprio dalla constatazione che l’homo sapiens ha avuto un cammino che rispecchia quello di tutti gli altri esseri viventi sul pianeta, sta cerando reti di solidarietà e responsabilità ben diverse da quella immaginate fin qui dal sapere tradizionale. Certo tutto ciò ci può far capire meglio “chi siamo, come siamo arrivati fin qui e dove stiamo andando”. Ma in questo nuovo clima di evidenze che il pensiero scientifico ci offre, non sono isolate le voci di coloro che annunciano la fine. Saremmo giunti al capolinea della nostra evoluzione; il nostro raggio d’azione si è espanso dall’ecosistema locale alla biosfera globale e fino alla cybersfera, sì, ma noi saremmo, alla fine imminente. Questione di poche centinaia o migliaia di anni: “mille e non più mille”.

Ancor più accorato e impaurito è apparso il coro degli umanisti di fine secolo, giunto oggi forse al suo culmine, circa l’imminenza di una eclissi. A far bene i conti questo requiem prende il via dalla seconda metà del XIX secolo, ma guadagna terreno e prende forza nel Novecento, un secolo replicante dalle strategie culturali ottocentesche, un secolo “inutile” e che segna sicuramente la fine del modello culturale della modernità. Con la sindrome di fine millennio, la tensione puntualmente si è accresciuta e una serie di catastrofi si annunciano e sembrano compiersi. Ecologisti, moralisti, filosofi, storici, sociologi, antropologi trovano un punto di incontro  e una riqualificazione professionale nell’arte della profezia e questa profezia è al negativo. La generazione che ha vissuto la Guerra fredda affronta il XXI secolo all’insegna di una definitiva guerra tra il Bene e il Male, una Guerra totale. Anche qui saremmo giunti alla fine e al finis historiae. Stregoni e maghi, astrologi e uccelli del malaugurio sembrano aver conquistato il mondo.

Le tre grandi rivoluzione della seconda metà del XX secolo (quella atomica, genetica, informatica), oggi in pieno sviluppo, in luogo di celebrare la novità dell’ottimismo, annunciano le ombre funeree di un’Ade prossima ventura. 

In realtà quello a cui si assiste è un profondo divorzio tra umanisti e scienziati, un arrocamento dei primi su mitologie ormai desuete, una fuga incontrollata dei secondi verso la conquista di nuovi pericolosi territori. Coscienza ed esperienza, identità e azione sociale, solidarietà e sviluppo, significato e comunicazione, politica e pensiero, sembrano aver preso cammini separati e a farne le spese è il demone tecnologico e cioè l’incapacità di sviluppare un pensiero nuovo, una cultura dell’innovazione capace di garantire la convivenza dell’uomo con la sua tecnica e con l’ambiente che lo circonda. Queste cose sono dette, ridette e risapute e già battono la campana a morto al capezzale di chi forse è solo malato o semplicemente è sano e del medico non si fida più. È la terapia, infatti, che appare lontana, oscura, preoccupante.

Questo clima crepuscolare, ai confini di un abisso nichilista, sembra pervadere con maggior forza il nostro Paese rinchiuso in se stesso e vieppiù emarginato dalle grandi e vitali correnti che muovono i flussi di una cultura planetaria in via di formazione. L’inquietudine millenaristica che non piace ai giovani e li allontana, investe il sentire politico e la passione civile, rifredda  il dibattito tra scienze umane e umanisti e, in particolare, da scacco al sapere e l’insegnamento della Storia che, per tradizione, hanno avuto il compito di ridurre ad unità la complessità del reale, risolvere le discontinuità nel corso lineare della Storia universale, fissare i modi e i tempi del cammino verso il futuro. Proprio su quello che è stato il “pensiero strategico” della modernità, lo tsunami delle profezie al nero si abbatte con particolare vigore: la sfiducia rallenta il ritmo dello sviluppo, la percezione del mutamento storico appare inafferrabile.

Si parla di “fine della storia”, di un “esilio del tempo” e di un progressivo allontanamento dei giovani dalle discipline storiche, di un preoccupante dilatarsi del presente istantaneo rispetto al passato e al futuro, di un “oblio” dei valori e di un isterilirsi della “memoria storica” presso le giovani generazioni, di una emergenza della fragilità individualista e addirittura di un processo di imbarbarimento perché la Storia non insegna più la Civiltà. E come al solito le responsabilità sono note:i nuovi media, l’esasperazione dei consumi, la fine di ogni controllo, la disaffezione ai sistemi educativi, l’abbandono alla deriva tecnologica. Il passaggio generazionale assume i tratti del divorzio.

A mio parere si tratta di un problema mal posto. Di un insieme di luoghi comuni che tradisce un problema e un vissuto degli storici più che una vocazione dei giovani del XXI secolo. Le cose non stanno così.

Un conto è aver voltato pagina, scoperto un nuovo continente, imprevisto e inatteso, spezzato i legami con la madre patria come spesso accade quando si parte per nuove avventure. Tutt’altra cosa è profetizzare la fine e l’estinzione di massa.

Oltre il Secondo millennio l’avventura continua. Oltre il declino vi è la realtà di tutto quanto è nuovo nella sua feconda incertezza e probabilità. Probabilmente quello che accade è che stiamo voltando la pagina del tempo e anche la pagina della storia di un uomo non più ferocemente radicato al suo tempo, alla sua storia e per ciò stesso bisognoso di nuove amicizie e solidarietà con il mondo che lo circonda, con il suo passato e il suo futuro, bisognoso insomma di una nuova cultura; quella cultura delle idee o dell’innovazione nella quale il nuovo non è più figlio de vecchio, ma una categoria in se. Quello che si va costruendo nel XXI secolo è un uomo nuovo rispetto a tutto il passato dell’umanità, dotato di una identità planetaria e di una cultura della complessità; un uomo capace di vaste alleanze con la tecnica da un lato e la pluralità delle cultura dall’altro. Questo, a detta dei più, è l’uomo del XXI secolo e quest’uomo si costruisce, soprattutto nel nostro Paese in virtù di uno stretto rapporto tra Storia, Politica e Futuro al quale questo libro è dedicato.

 Anche questo dunque è un libro profetico, ma qui la profezia è al positivo: è, o vuole essere, la novità dell’ottimismo. Un esperimento, me lo dico da me, incauto e generoso, ma dovuto ai miei giovani studenti e colleghi. Essere pessimisti è un copione assai più facile da recitare.

Questo libro è diviso in due parti. 

La prima parte accoglie il testo “Storia, storici e identità” che ha perso lo spunto da un seminario per i Dottorandi di Storia contemporanea, celebrato presso il Dipartimento di Storia della società e delle Istituzioni della Facoltà di Scienze politiche dell’Università degli Studi di Milano sul tema dell’identità dello storico nel mutato clima culturale del XXI secolo, il loro secolo e il loro tempo; a loro è idealmente dedicato. Vi si racconta quel che, a mio avviso, è il significato profondo della Storia alla luce della nostra esperienza di oggi, dell’emergere di nuovi saperi, dei processi di mondializzazione e globalizzazione in atto e del necessario confronto non solo con le altra culture, ma con le mutate dimensioni della temporalità. Si tratta di una riflessione necessaria perché, da ormai quasi un secolo è proprio la storia e la storiografia a battere la campana a morto della modernità e della cultura occidentale.

Come è possibile con questa lugubre orchestrazione partire alla scoperta di nuovi continenti del sapere e affrontare le nuove avventure del XXI secolo? E, per contro, come è possibile senza quel legame con il passato che la Storia sola può assicurare, passare il testimone alle generazioni future?

Ne concludo, insieme a Voltare, che “probabilmente si verificherà assai presto nel modo di scrivere la storia ciò che si è verificato nel campo della fisica. Le nuove scoperte hanno portato a proscrivere i vecchi sistemi. Si vorrà conoscere il genere umano sotto quel particolare aspetto interessante che è oggi la base della filosofia della natura”.

La seconda parte del libro, “Le tracce del tempo” è il risultato di una serie di conversazioni intervenute, a seguito del mio corso di Storia delle Dottrine politiche dell’anno 2005, con gli studenti e da loro in parte suscitate. In qualche modo sono una conseguenza e un riflesso delle argomentazioni del testo presentato nella prima parte del libro, anche se trovano occasione delle esperienze del quotidiano e dal clima del momento che caratterizza la vicenda del nostro Paese e le inquietudini dei giovani verso un sistema politico, economico e sociale in via di profonda trasformazione. Vi si racconta dell’uso pubblico della storia (….), delle nuove percezioni del mutamento storico  e delle difficoltà del dialogo con i giovani e tra i giovani sui temi di storia, politica e pensiero politico (…), del declino del nostro Paese e delle opportunità di un rilancio della cultura delle idee (….), della necessità di rinnovato impegno politico che può suscitare proprio il dibattere sul senso della storia, del suo possibile insegnamento, del suo superamento in forza dell’innovazione (…).

Nel titolo, infine, ho inteso precisare che si tratta di “lezioni non accademiche” perché non rispettano i confini disciplinari e i canoni retorici che generalmente l’insegnamento della storia impone. Il che comporta seri rischi di comunicazione da un lato e dall’altro far venir meno quelle rassicuranti coperture di “scientificità” e quel rigore che esclude la provocazione, il paradosso, l’ironia e, infine, il dialogo. Tuttavia questa strada, che insieme al rischio offre la necessaria libertà di espressione, mi sembra l’unico approccio possibile all’innovazione perché, proprio come i giovani, “l’innovazione appare inefficiente, spesso è indisciplinata, si contraddice, è iconoclasta; e si nutre di confusione e contraddizioni” (Negroponte).    

     Indice del testo

Parte prima

Storia, storici, identità

1 – lezione – Storia, politica, futuro

La cultura è il prodotto e, al tempo stesso, il fattore strategico dell’evoluzione della specie. Al pari di molti altri sistemi culturali, che hanno accompagnato e accompagnano la vicenda umana, la modernità è un prodotto circostanziato nello spazio e nel tempo: l’Europa occidentale, i secoli XV-XX. Storia, politica, futuro costituisce una sequenza di parole chiave che può caratterizzare e, in qualche modo, spiegare la specificità di questo modello di cultura. Tuttavia i processi in atto di globalizzazione nel sistema elle comunicazioni umane, e ciò che ne consegue in termini di integrazione e confronto tra culture, ha profondamente indebolito questa sequenza. A detta dei più, anche la parola declino dovrebbe ora caratterizzare l’esperienza culturale che chiamiamo modernità. 

Modernità e altre catastrofi – Caratteri e confini – i paradigmi del mondo alla rovescia… – … e le novità del presente – Storia e storici.

2 – lezione – Identità e complessità

La colonizzazione e umanizzazione del tempo è il compito che la cultura della modernità ha assegnato alla storia. Ma la riduzione del tempo a storia ha realizzato un processo “alchemico” che, desacralizzando e umanizzando il tempo provvidenziale-naturale, ha finito per sacralizzare il tempo umano, e, a poco a poco, quest’azione di colonizzazione e conquista lo ha reso “pubblico”, “collettivo” ben oltre gli angusti confini dell’esperienza individuale e della storia personale; cosicché la Storia dell’Uomo, necessariamente universale e teleologica, è divenuta “il tempo sacro” della modernità. La crisi della modernità, che caratterizza il XX secolo, riapre il dibattito sul significato e il senso della storia e del significato stesso del tempo, in un clima culturale invia di radicale trasformazione.

Identità e crisi di identità – una “storia” della crisi – la storia della storia. Le dimensioni del tempo – fine della storia e oltre – l’incidente inatteso – sapere inutile e nuovi saperi – storia e storie – nuovi orizzonti, nuovi territori – civiltà, evoluzione dell’umanità, civiltà materiale – aperture, complessità, profondità. 

3 – lezione – Tempo storico e percezione degli eventi

La storiografia si occupa di quel dominio dell’invisibile che è il tempo passato, tuttavia questa misteriosa dimensione si materializza ai nostri sensi attraverso segni, piste e tracce altrettanto misteriose che sono quei monumenti-documenti in forza dei quali la ricerca storica intercetta e ricostruisce i fatti del passato: gli eventi “storici”. Ma l’evento è una molecola della temporalità direttamente conoscibile, ha un principio e un fine che ci sembra di poter afferrare perché è fatto del nostro tempo, parla di noi, è lo specchio della nostra temporalità del tutto segnata dalla sua finitudine. 

Tempo, eventi, durata e storia degli eventi – evento, temporalità e tempo umano – cronologia e cronosofia – l’evento storico, le date, la cronologia – subeventi, particelle, frattali e fisica degli eventi – teatri della memoria, spettacoli e canonizzazione degli eventi – memoria, ricordi e percezione degli eventi – memoria storica 

4 – lezione – Storia, modernità, comunicazione

La storia non la fanno gli uomini, la fanno gli storici che la scrivono e, con i loro racconti, umanizzano il tempo dilatandolo oltre i confini del presente sino alle sue zone estreme nelle quali si cela il segreto delle origini. Per questo la storiografia del secoli XV-XX è una manifestazione originale ed esclusiva del pensiero mitico: un racconto delle origini nel quale l’uomo non è un oggetto della creazione, ma il soggetto di continui processi creativi del tempo e del suo stesso tempo. La modernità è tutta qui, in questo Grande racconto di un tempo tutto umano, fragile e caduco, che ha generato nell’uomo europeo la consapevolezza di un destino di continua autoffarmazione attraverso il suo tempo e la sua storia. Nessun altro sistema di pensiero ha percorso un cammino tanto rischioso. Nessuna cultura ha conferito alla creatività e all’immaginazione del pensiero mitico il compito di umanizzare il tempo e di promuovere, nel tempo, l’espansione della conoscenza dell’uomo e del mondo. Per questo il pensiero storico è un’attività dell’immaginazione e nella storia nessun dato è definitivo, nessuna testimonianza certa. Instabile e indefinibile perché materia viva che si rigenera da se, la storia è un linguaggio iscritto nel tempo i cui vocaboli sono gli eventi. 

Scienza, leggi, spiegazione… – … e narrazione – mitografia e storiografia – storia, politica, potere – storia antica e moderna – storia moderna e contemporanea – per concludere

Parte seconda

Le tracce del tempo

4 – lezione – La nascita del tempo-storia

5 – lezione – La storia come alluvione, il passato come illusione.

Tra gli storici non si è aperto un dibattito circostanziato sul “mercato” della storia; un mercato che la recente ondata di opere storiografiche vendute in edicola sembra dilatare oltre i tradizionali confini. Come spiegare le vertiginose tirature di testi di storia e di intere collane, francamente indigeste e certo improponibili come semplice intrattenimento? Come spiegarle in presenza di tirature quasi miserabile dei libri che certificano l’impegno diuturno dei ricercatori? E perché mai titoli un tempo invenduti o passati inosservati, incontrano  oggi una domanda così vasta? Si tratta di una vera alluvione che rischia di sommergere il consumatore e per la quale il ricorso a paradigmi di riferimento come “uso pubblico della storia” e “memoria storica” non pare appropriato.

6 – lezione – Rivoluzioni e metamorfosi

Per effetto delle tre rivoluzioni del Novecento (della fisica atomica, della biologia genetica, dell’informatica), storia della natura e  storia umana si intrecciano e trovano punti di contatto, ragioni di scambio e di reciproca dipendenza. Tra le possibili vittime di questa nuova situazione vi è l’insieme delle metafore e dei programmi di azione della temporalità storica e della percezione del mutamento storico. Come utilizzare i paradigmi storici di Rinascita, Riforma e Rivoluzione, Progresso, Sviluppo nelle dimensioni temporali di questo avvio del XXI secolo?  Quali sono i reali confini della nostra memoria in presenza di tecnologie alternative a quelle ormai primordiali delle scrittura e del racconto orale? E cosa significa l’espressione “prospettiva storica”? Siamo poi così sicuri che il tempo-storia così rigido nella sua struttura possa risolvere il problema continuità/discontinuità degli eventi, il loro concatenamento necessario?

7 – lezione – L’albero, la mela e il serpente

Il fondamentalismo è costitutivo della cultura dell’Occidente e caratterizza l’antropologia della modernità. Ha fondato la vocazione espansiva e universalistica dell’Europa e la vocazione imperiale del potere USA. Di recente però i nuovi saperi e gli esiti del neodarwinismo, la rivoluzione biologica e quella digitale consentono qualche approfondimento sul tema.

8     – lezione –  Dottrine, politica, declino

È possibile produrre, oggi e in questo clima, un manuale di Storia delle dottrine politiche che tenga conto del comune sentire degli studenti? Meglio ancora: è possibile insegnare al Storia delle dottrine così come viene ed è stata abitualmente praticata secondo i canoni della disciplina? In che modo coniugare sapere, saper essere e saper fare in seno all’insegnamento di Storia delle dottrine politiche?

  1. – lezione –  Innovazione e cultura delle idee

Alla fine del secolo scorso la conoscenza cominciò a diventare la valuta più pregiata come lo era stata la terra nella società feudale o il capitale nell’economia industriale. Si concludeva così il ciclo della modernità il cui fondamento è stato, per almeno cinque secoli, la sequenza storia, politica, futuro. Nel presente, dominato dalla globalizzazione, si va affermando una nuova sequenza: collaborazione, organizzazione, innovazione. Parola onnicomprensiva di tutto quanto è novità, accelerazione, superamento dei confini tradizionali, innovazione è entrata nel lessico quotidiano, è divenuta merce comune e annuncia un nuovo modello di organizzazione sociale basato sulla conoscenza. È possibile coniugare politica e innovazione? Quali sono gli ostacoli, quali le opportunità?