Di tutte le cose nascoste  sulle origini del pensiero  

Riscoperta e prima edizione del testo a cura di  Omar Al Bussolà e Roberto Moro  

La nostra vita privata, la nostra piccola storia fatta di tempi brevi, di  serie cronologiche di mesi o anni, è sempre alla ricerca di un testimone  che possa conoscerla, indagarla, farne memoria, E non esiste un nostro  pensiero, anche il più confuso, anche il più nascosto che non sia pensato  per essere comunicato.  

Storia del testo e delle fonti per l’edizione Italiana  

Il manoscritto GR.P.205 raccolto nel fondo “donazioni varie” della biblioteca  del Dipartimento di Storia della Società e delle Istituzioni dell’Università di  Istanbul e titolato “di tutte le storie le più nascosta sulle origini del pensiero”  ha posto e pone tali problemi di datazione, cronologia, attribuzione da  indurre gli specialisti a celarne l’esistenza stessa. Attribuito nel corso del XIX  secolo a Nonno di Panopoli che avrebbe a sua volta utilizzato un insieme di  testi ora dispersi, fu poi rubricato, sul finire dell’Ottocento, come opera dello  Pseudo Longino. Ma nel 1939 Ramius Botero ne ha decretato il definitivo  oblio dichiarandolo un abile falso opera del poeta e cultore di antichità  classiche Federico Komorov a tutti noto per le sue intemperanze  accademiche. 

L’autore, facendo ricorso testuale ai rari, imprecisi e talora oscuri frammenti  dei secoli VII-VI a.c. conservati dalla tradizione filosofica e filologica  occidentale, ne ripropone la lettura in un testo apparentemente unitario in  forma di poema. Si tratta di un divertimento poetico che riconduce alle  radici profonde della discontinuità prodotta del pensiero filosofico-scientifico.  Un storia possibile e forse probabile dell’ “inizio” del nostro sapere.  

Non sarà dunque questa edizione a resuscitare l’interesse degli specialisti  verso questo testo dimenticato. Essa si rivolge ai curiosi. Per il resto:  null’altro che leggerlo.  

Federico Komorov  

Di tutte le storie le più nascoste  sulle origini del pensiero  

premessa all’edizione italiana del manoscritto  

Inizio e discontinuità: elogio del mare Egeo  

L’inizio, ogni inizio, è sempre oscuro, nascosto, incerto così come lo è la  discontinuità che lo genera. Ciò vale anche per il pensiero e soprattutto per  quel modo di pensare che ha percorso il suo cammino in Occidente e solo in  Occidente a potuto farsi filosofia, ricerca della “verità” nella sua precisa  accezione di “non nascondimento”, autenticità, disvelamento. A un tratto,  nel corso della storia dell’universo, miliardaria di anni, in un nanosecondo  dell’esperienza complessiva della vita e sul finire della vicenda dell’uomo,  cioè tra il VII e il V secolo del nostro calendario storico, si è prodotta la  madre di tutte le discontinuità nel processo evolutivo dell’intero universo e  della specie umana. È discontinuità che nessuna storia potrà mai raccontare  perché ancor oggi e viva e attuale come il nostro stesso istante. In meno di  cento anni, in un luogo minuscolo del mondo tra lo specchio del mare Egeo  e la sponde che lo circondano, il pensiero cominciò a porsi quelle domande  che ancor oggi e per tutto il suo futuro evolutivo agiteranno la nostra specie.  Queste domande, che fanno il senso della nostra umanità, hanno a che  vedere proprio con il rapporto dell’uomo con l’enigma della sua stessa  esistenza e toccano il problema decisivo dell’inizio, del suo mistero e  dell’interrogativo dal quale si genera ogni possibile racconto, ogni possibile  storia: che cosa c’era prima di noi e della nostra esperienza? Quale è  l’energia che genera l’universo? Quale il motore che rende le cose ciò che  sono nel loro continuo apparire ai nostri sensi? Quali regole definiscono  l’ordine e il disordine di ciò che è e del perché è?  

Mithos, cioè il pensiero immaginativo che è forse il più alto grado della  conoscenza; logos, il pensiero razionale che mette a profitto sofisticate  tecniche di analisi della nostre percezioni; fusis, la natura in quanto altro da  noi e alterità alla nostra coscienza e conoscenza; nomos, e cioè quel  ripetersi necessario delle nostre esperienze che chiamiamo leggi, regole  produttrici di norme e normalità; kosmos, ordine prodotto dalla leggi  riconoscibili nella natura per effetto della nostra esperienza conoscitiva;  infine polis, l’organizzazione dell’uomo in un complesso di leggi che gli consentono di imitare la natura e superare la sua stessa natura. Sono  questa le piste dell’esperienza culturale greca che fonda le nostre origini,  l’inizio. Una sequenza di avventure del pensiero che in meno di cento anni  crea la più grande discontinuità della cultura: la nascita della filosofia,  dell’Occidente, dell’uomo per quello che oggi lo conosciamo. L’intreccio di  queste dimensioni che genera la complessità e ne consente l’accettazione, ci  restituisce intatti per quello che ancor oggi noi siamo. Dopo questo inizio  oscuro, nascosto, incerto, più nulla è accaduto nel corso affaticato di due  millenni.  

Cento, centoventi anni: poco più che un istante nella storia di quattro, sei  milioni di anni della nostra specie. Tre, forse cinque generazioni e siamo al  capolinea, al punto nel quale ci troviamo oggi nel racconto della nostra  storia nella ricerca dell’inizio e dell’origine di ogni perché. Lo scenario di  questa avventura è ancora li, a portata di sguardo.  

Acqua e terraferma, isole che paiono generate dal mare, vento possente e  brezza leggera, un sole tagliente, tramonti di fuoco e aurore di rosa, un cielo  senza confini e notte grondante di infinite stelle. Questo ambiente, ancor  oggi immutato, ha dato origine al disvelamento dei desideri e alla risposta  dei primi perché. Acqua, aria, terra, fuoco, infinito e cioè assenza del limite  a ogni misura di spazio, tempo, profondità, sono stati di volta in volta il  principio primo e gli elementi costitutivi del cosmo inteso come ordine  universale le cui leggi rendono visibile i misteri della nostra alterità: la  natura. E questa alterità presto diviene specchio della nostra stessa natura e  sostanza: corpo, anima materia.  

A ripercorrere quel brevissimo, intenso cammino si raccolgono voci lontane.  Un brusio di frammenti e frantumi di discorsi è rimasto a testimoniare i cicli  di questa avventura. Sono reperti fossili che solo l’immaginazione riesce a  indagare. La cronologia è stretta. In una zona incerta del VII secolo, l’epos  omerico scopre, sulle rive di Troia, la nostra corporeità fatta di materia,  emozioni e passioni come fondamento e ragione di un esclusivo racconto: il  corpo, nel suo essere organico è l’unica verità dell’uomo. Poi Orfeo, dalle  cime dei monti Rodopi, valica il confine e il limite del corpo eroico dell’uomo  elaborando lo struggente desiderio di superare ogni caducità a beneficio di  una sostanza incorruttibile: psyché, l’anima immortale e il demone  prigioniero della mortalità corporea. Infine una schiera incerta di avidi  osservatori realizza, una volta per tutte, il drammatico passaggio della forza  delle emozioni al potere della ragione. Tra il VI e il V secolo si passa  inavvertitamente da mithos a logos, dalla conoscenza immaginativa alla  fatica di un pensiero che rende conto delle cose del mondo e della loro  possibile conoscenza in virtù del bisogno di dimostrare, spiegare,  condividere ciò che si riconosce come vero. Libertà, autenticità,  responsabilità, ma anche collaborazione e organizzazione come presupposto  della scoperta e dell’invenzione.  

Questo inizio, anche ora che forse siamo al capolinea dell’avventura umana,  è l’inizio di un continuo presente. Oggi il pensiero scientifico, uscito dalle  grandi rivoluzioni del XX secolo, ripropone nostalgia (inquietudine per il  necessario ritorno) verso queste voci lontane.  

Omar Al Bussolà 

Omaggio al mare Egeo  

ingresso – prologo – Primo tempo Soma: il corpo – Secondo  tempo Psyché, il demone, l’anima – Terzo tempo Fusys, la  materia: acqua, aria, infinito, numeri, pensiero, tempo – Quarto  tempo epilogo la sopravvivenza delle prime sorgenti  

ingresso  

nelle montagne dell’Elide una porta di bronzo si apre su una caverna  che conduce alla profondità della terra e alle estreme solitudini dei  cieli. I battenti consunti di ruggine recano una scritta:  

Dipende da chi varca questa soglia  

che io sia tomba o tesoro.  

Che io ti parli o taccia  

dipende solo dal tuo cuore.  

O dolce amico, non entrare senza desiderio! 

prologo  

Egeo, isola di Serifos, all’imbrunire e mentre il mare si placa dopo  una tempesta, VII secolo a.c.  

Nera notte, e oscurità di stelle,  

e purissimo silenzio del vuoto,  

tu che ti sveli  

quando il dolce sonno versa i suoi veli sulle palpebre stanche  e Crono inarrestabile batte ogni ora:  

allora, come prigioniere,  

le ombre si affacciano all’abisso  

e i sogni danzano avvolti dal tempo senza ere.  

Così il divino Mercurio accompagnava in lunga schiera i sogni,  giù li conduceva, paziente, nelle caverne dell’eternità.  

Odisseo, Odisseo distruttore di città, creatore dei sogni,  

ogni ora siedi a riguardare le onde  

sulla riva bianca del mare.  

Senti schiumare le lucide navi,  

ricordi i tuoi avi  

inghiottiti da quel confine che non ha sponde,  

che non puoi navigare.  

Aspettare, aspettare ….  

il risveglio e la tenue luce.  

Anonimo  

Primo tempo  

Soma: il corpo 

Il corpo, null’altro, è la verità del mondo. Il solo palpito di esistenza. La sua  scomparsa genera rimpianto e ricordo infinito. Il corpo è sicurezza, certezza  di vita, eternità del presente. È la materia corporea, muscoli, agilità, ardore,  generoso dispendio di energia, che crea l’esclusiva identità dell’uomo, spiega  il suo stesso perché. È un progetto divino che riproduce l’immagine e la  sostanza degli stessi dei fatti anch’essi ci lagrime e sangue, di muscoli e  ossa possenti. Ma il corpo degli dei è materia perfetta, immortale ….  

Una caverna immensa scossa da correnti e sospiri di vento,  illuminata da improvvisi bagliori. È l’Ade profonda. Volteggiano  ombre incorporee, compaiono e scompaiono in un misterioso  frusciare di rassegnate parole. È calma, monotonia, rimpianto.  Ombre fluttuanti parlano nel silenzio delle parole. 

Rapito da Fobos, dio del terrore e delle paura,  

trasportato nel sogno da una squallida notte  

in una caverna oscura e immensa … essenza …  

là giunse a conoscenza delle cose segrete.  

Ombre trasparenti e rilucenti di umida rugiada,  

volti scavati nel nulla di una forma corporea  

che non esiste più,  

là accettano la colpa della loro inesistenza infinita.  Ricordano della vita, dei cieli perduti,  

dei sogni caduti in un Tartaro nero.  

Il vento le confonde e la più tenue luce le fa scomparire.  Vaghi moti dell’aria …  

Il corpo, o divino Achille dal piede veloce,  

il tuo corpo possente e rilucente nello sguardo del sole,  il corpo è l’unica cosa memorabile  

la cui traccia si perde nel rimpianto infinito  e nulla di te appare e più rimane  

se non il monologo insaziabile  

fatto di un silenzio che nessuno può ascoltare..  Anonimo VII secolo a.c.  

Solo il corpo degli dei è immortale,  

perfetto nella sua virtù di membra, muscoli e sangue.  Solo gli dei nascono e rimangono eterni  

nella perfezione del tempo che li ha generati.  … marmi scolpiti di intramontabili vite.  

Il nostro sangue sfinisce le vene,  

versato dalle ferite,  

si corrompe nella polvere,  

scende giù, scende giù  

più e più sotto la crosta terrestre che lo rifiuta,  e giù e giù lo fa scorrere in fin che arriva colà  dove, raffermo, si coagula nell’eternità di nere caverne.  Splendido il corpo degli dei immortali,  

sangue divino che non si consuma,  

materia che non si corrompe al tempo, alle stagioni …  perfette proporzioni che nessun eroe può sperare,  nessun mortale può imitare.  

Del tuo corpo mirabile, o Achille,  

della tua ineguagliabile forza di gioventù,  

agile nei tuoi piedi veloci,  

laggiù vi è solo il monotono ricordare senza memoria,  fatto di malinconia infinita.  

Della tua vita resta il grande tumulo,  

sulla spiaggia di Troia desolata,  

spazzata dal vento del mare  

che lo consuma e lo sa divorare  

lentamente, lentamente …  

Pseudo Omero VII seolo a.c.  

Dodici giorni  

gli Achei hanno pianto il mio corpo mortale.  Dodici notti  

hanno cantato le mie membra di bronzo,  

la mia morte perfetta …  

il mio sangue versato 

 

nella fretta delle battaglia,  

nell’ansimare finale …  

nella lotta di corpi avvinghiati alla vita:  

la mia giovinezza infinita ha cancellato  

l’usura del tempo.  

Ogni angoscia della vecchiezza è svanita.  

Splendido il mio corpo, Achei,  

tanti quanti avete vegliato le mie spoglie superbe.  

Le avete bruciate con foglie di pallido ulivo,  

arbusti di cedro, lacrime di querce possenti …  

Dodici e dodici e dodici  

giorni di sole smarrito,  

di notti di fuochi sparsi nei campi  

e di continui canti.  

E la fatica di un tumulo  

immenso sulla linea bianca del mare  

che lo possano guardare le onde incessanti  

e tutti i passanti del mondo a venire.  

Là giacciono miserevoli frantumi di bianche ossa  

frammenti di gesso in un cratere d’oro …  

io, miserabile ombra, devo partire  

verso l’oscurità del ricordo  

di quel solo, unico istante ….  

… dolce viandante,  

… passare, ascoltare, partire ..  

sappi che il divino Pelide non voleva morire …  

non voleva morire.  

Pseudo Omero VII secolo a.c.  

Secondo tempo  

Psyché, il demone, l’anima  

Che vi è oltre la solitudine scomposta del corpo e il suo deperire? Cosa  sopravvive della materia che ci accompagna nel ciclo dell’esistenza? Che  cosa precede il suo concreto apparire nel mondo? Vi è un’altra dimensione  oltre la vita? Un demone, un’anima, una stilla di eternità che va oltre il  confine del tempo? Il corpo è una faticosa prigione e …  

In Tracia, sui monti Rodopi, VII secolo a.c.  

Il corpo di tutti obbedisce alla morte possente,  

e poi rimane ancora vivente  

come immagine della vita.  

Solo questa vaga, impalpabile presenza viene dagli Dei:  

dorme mentre le membra agiscono,  

ma nel sonno molti sogni mostrano ai dormienti  

le vaste solitudini e i mari rilucenti che l’anima si affanna a navigare.  Orfeo 

Itaca, una capanna nel cuore dell’isola, VII secolo a.c.  

Un regno, o miserabile Eumeo,  

un regno celeste  

è nascosto nel tuo corpo avvizzito dal sole,  

consumato dal terrore di tutte le notti.  

Un demone immortale  

si agita e sale nel tuo corpo  

contato dai giorni e dal cadere delle stagioni.  

Prigione mortale che libera la sua sola essenza,  

la presenza divina  

che fa battere i cuore.  

Solo il tuo corpo muore, squallido Eumeo.  

Non vi è fantasma, non ombra, non Tartaro,  

non profondità infinita …  

solo la vita è un faticoso inganno.  

L’anima liberata è portata sul carro del Sole  

attraversa la limpida notte,  

il carro di Apollo la conduce …  

di lassù, in un regno che non conosce distanza,  

non tormenti di vane speranze, di mortali abbandoni,  

di lassù vive nel sogno che non ha inizio,  

ignora ogni fine …  

Inno orfico  

a Priene, costa ionica, presso il tempio di Afrodite, VI secolo a.c.  

Orfeo, Orfeo,  

voce del morbido ulivo, della dura pietra,  

di tutti gli uccelli del cielo, dei mobili pesci nel mare,  

non cercare nel nulla l’origine delle cose.  

Non cantare l’immenso vuoto dell’anima immortale  

e la vita senza sostanza  

miserabile ombra delle nostre emozioni.  

Non cercare nel nulla quello che tutto ti può svelare  

la luce del sole liberatrice di ogni confine.  

Il vero si cela nella materia di tutte le cose,  

si cela nel pensiero profondo,  

nella ragione che è la materia del vero  

che ordina il mondo.  

La morte è necessaria presenza della sostanza infinita,  palpito di esistenza ….  

Anonimo 

Terzo tempo  

Fusys, la materia:  

acqua, aria, infinito, numeri, pensiero, tempo  

Quale è l’origine delle cose del mondo, il primo principio? Quale la sostanza  di tutte le cose e quale essenza e quale elemento le costituisce? Come  spiegare la molteplicità delle cose che esistono in natura? Che rapporto  intercorre tra unità e molteplicità? Queste sono le domande che, in un solo  istante, hanno cancellato gli dei dal cielo, l’anima dal corpo, gli eroi dalla  terra.  

a Mileto, costa ionica, notte dell’eclissi di luna del 610 a.c.  

L’acqua, l’acqua è il principio primo.  

Materia liquida solida come cristallo,  

identica nel trasmutarsi delle sue affezioni.  

Tempo fossilizzato da innumerevoli azioni. 

 Natura, natura!  

Acqua e vapori, nebbia e fuoco che genera il vuoto,  

i nembi del cielo,  

materia flessibile, mobile, densa ed eterea,  

respiro profondo di ogni mattino,  

profondità marine,  

nubi rosa e indaco, porpora degli dei, e nere come la notte  e lampi di Zeus che tagliano i cieli.  

Veli di pioggia sulla ciglia socchiuse.  

Vortice primo generatore dei mortali,  

acque lustrali giardino divino.  

Tu sei l’umido principio  

sul quale  

piange le sue lacrime  

ogni mortale.  

Talete  

a Mileto, costa ionica 547 a.c.  

Ascolta.  

Solo dell’infinito non vi è principio.  

Tutte le cose sono o principio o dal principio  

e solo nell’infinito non vi è origine e compimento,  

non vi è tormento di parto,  

non limite, non misura, non segno, né battito d’ali.  

Ascolta.  

L’infinito è materia fatta di suoni  

che non vive origini e creazioni.  

È l’infinito il sogno divino senza confine:  

immortale, incorruttibile che non conosce fine.  

Gli Dei sono i cieli infiniti, 

le imperturbabili stelle,  

le profondità della luce;  

generano il tempo e tutte le cose che la morte finisce;  tutte le cose hanno origine dall’infinto e in esso si sciolgono secondo  necessità.  

Quaggiù prendono momentanea, mutevole forma,  

pagano ciascuna la pena dovuta e scontano la colpa  che loro impone il battere ansioso del tempo.  

Anassimandro  

Santuario di Didima, costa ionica, 535 a.c.  

Respira, respira l’onda del mare.  

E ricongiungi le profondità impalpabili dell’anima tua  alla materia infinità: l’aria è il principio e la vita.  

L’aria è il corpo incorporeo, la materia impalpabile;  

respira il soffio del vento e le mobili correnti  

poiché noi nasciamo e viviamo per il suo flusso:  

esso è ricco e corporeo  

e ci nutre per non venire mai meno.  

Materia invisibile e viva,  

non spirito, non anima assente, non vuoto del mondo.  Umore ora caldo, ora freddo,  

alito ora compresso ora liberato dalle labbra,  

sorriso e flusso infinito dell’essere:  

sostanza che avvince il corpo e lo tiene in vita,  

sospiro nei boschi e carezza di tutte le cose.  

Brezza sottile …  

Polvere che danza nei primi raggi del sole  

e nelle mobili oscurità della notte.  

Respira, respira ….  

Anassimene  

Efeso, costa ionica, presso il ninfeo dei Curati, 504 a.c.  

I confini dell’anima non li potrai mai trovare.  

Cercare, cercare.  

Per quanto tu percorra le vie, i sentieri, i pensieri,  

la sua ragione profonda non potrai mai trovare.  

L’anima si accresce da se come il vento e senza un perché.  Sperare, sperare.  

Chi non spera non potrà trovare l’introvabile,  

l’inaccessibile non potrà toccare.  

Tutto passa oltre il desiderio:  

è il desiderio il motore del cuore.  

Questo ti dice Eraclito, padrone del tempo.  

Corre, corre l’acqua di questa fontana,  

scivola quella del fiume e muore sull’estrema sponda;  si confonde nel mare: 

la goccia si sposa con l’onda.  

Il mare muore e scompare:  

muore e rinasce e scorre l’acqua del mare.  

Io ti insegnerò che una sola sapienza  

governa tutte le cose attraverso tutte le cose;  

che la ragione è la regola di ogni moto.  

Non darmi ascolto,  

ascolta la tua ragione che è la dimensione del tutto,  il nutrimento terrestre e il frutto del rapido corso mortale.  Ascolta il desiderio che è il moto possente della ragione.  La passione è anima in moto,  

è corporea essenza che dà origine alla tua mortale presenza:  tempo che corre, materia che si consuma.  

L’ignoranza è la tua colpa.  

L’arroganza un incendio  

che divora la luce dell’esperienza.  

Il sapere non insegna a pensare.  

Il fare è solo silenzio.  

Le vaghe opinioni sono svaghi di incerti fanciulli.  La dignità è ricercare.  

Le cose non hanno orizzonte.  

Ho investigato me stesso ….  

Ho navigato le onde notturne del mare.  

Addio luce del sole, addio ….  

Eraclito  

Crotone, nel bosco sacro di Orfeo, V secolo a.c.  

Gli elementi dei numeri, loro sono gli elementi di tutte le cose.  Conta nel tuo giardino le rose.  

Il numero è materia corporea.  

Conta le nubi del cielo ingannate dal vento,  

conta le stelle oltre l’oscurità del velo dei tuoi occhi,  le onde agitate del mare,  

le querce nel bosco, i fili di’erba nel campo,  

i fiori e le rose del tuo giardino divino.  

Dai numeri derivano le essenze di tutte le cose,  ne fissano le dimensioni, il perché e le ragioni.  

Celano e svelano l’ordine dell’universo,  

creano forme e sostanze e la cadenza ritmata del verso,  di tutto quanto appare e che tutto si può contare.  Conta le rughe e i sorrisi, le lacrime e gli sguardi divisi  che solo lo specchio dell’anima ti può rivelare.  

Conta i tuoi sospiri, la cadenza del suono delle parole;  ascolta l’armonia del mondo ….  

Suoni come onde che toccano le sponde dell’anima,  tutte le note di queste corde di cetra  

danzano con ordine immutabile ….  

Cosmo e materia infinita ….  

Materia che si dissolve. 

oltre la morte …. la vita  

Anonimo della scuola pitagorica  

Mare Egeo, isola di Colofone, 490 a.c.  

Non cercare gli dei sulla terra,  

sulle vette nevose dei monti  

nelle profondità dei mari,  

nelle caverne profonde dell’Ade  

frusciante di ombre.  

Non cercarli nei cieli,  

fragili costellazioni scomposte dal tempo,  

stella del mattino,  

liquido Mercurio e rosseggiante Marte  

e tu Luna radiosa.  

Agli dei Omero divino, Esiodo voce delle Muse,  

attribuiscono le spoglie e le colpe mortali:  

la vergogna del furto, il disonore dell’adulterio e l’arte dell’inganno  e tutte le più ignobili qualità morali  

Non cercare gli dei nello specchio infranto dell’anima tua.  La divinità è il sospiro del mondo,  

l’uno e il molteplice,  

il complesso moto della materia  

visibile e invisibile, la presenza senza confini,  

il divino che non è dio.  

Tutto nasce dalla terra e nella terra finisce,  

il mare tutta la accoglie  

ne lavora le miserabili spoglie e poi la risputa.  

Non correre con il pensiero …  

Gi dei dalla testa di toro,  

il serpente d’oro e di piume,  

il dio di legno e di pietra …  

del livido tramonto e della nera notte,  

il sangue umano hanno versato  

e passato in un tartaro oscuro …  

Ascolta Senofane centenario di anni,  

ramingo cantore stanco di versi infiniti che induriscono il cuore.  Ascolta la sua voce che muore.  

Nessun uomo consce né mai conoscerà il vero  

intorno agli dei e alle cose nascoste che canto.  

E se anche qualcuno riuscisse ad aprire la porta segreta del cielo,  a stracciare ogni pietoso velo,  

neppure lui lo saprebbe.  

Di tutto vi è solo opinione.  

Senofane 

Quarto tempo  

Epilogo; la sopravvivenza delle prime sorgenti  

duemila seicento anni dopo il primo inizio, sopravvive, in piena era cristiana,  la cosmogonia egizia delle origini che celebra il flusso inalterabile del tempo.  Non è un persistenza, né una lunga deriva, è un ripiegamento della storia  verso le sorgenti del grande racconto che recita …  

in una zona remota del mondo e dell’immaginazione nel VI secolo a.  c.  

Vi è in una lontana, ignota contrada  

proibita alla stirpe dell’uomo  

e inaccessibile agli stessi dei,  

la spelonca dell’Eternità,  

squallida madre degli anni,  

che dal suo vasto ventre  

riversa il tempo e lo richiama.  

La caverna racchiude  

il placido divoratore del tutto:  

un serpente dalla squame in perenne rigoglio  

che si ingoia la coda ritorta  

riproducendo con tacito giro il suo inizio.  

La Natura, con aspetto di età veneranda,  

siede, custode, davanti alle sue porte.  

Un vecchio profetizza temibili, duraturi decreti,  

assegna i periodi agli astri,  

i corsi e le stabili soste per cui ogni cosa vive e perisce  

in base a leggi immutabili.  

Costui stabilisce gli eventi che l’orbita incerta di Marte  

o quella certa di Giove annunciano al mondo;  

svela quelli che si possono intravedere dal veloce percorso lunare  o da quello del pigro Saturno quando Venere esce dai suoi percorsi celesti.  Appena il Sole si ferma sulla sua ampia soglia,  

accorre madre Natura e, ai suoi raggi superbi,  

il vecchio inchina il suo bianco capo.  

Allora la sbarra d’acciaio da se sola libera i grandi battenti  e l’antro profondo si schiude  

svelando l’arcana dimora dell’Eternità.  

Risiedono lì, diverse ai colori dei vari metalli,  

le ere del tempo, ciascuna al suo posto:  

lì giacciono ammucchiati i secoli bronzei,  

rigidi quelli di ferro, candidi quelli d’argento  

e in un angolo altissimo, impossibile da toccare con mano,  posano, in fulgida frotta, gli anni dell’oro.  

Ogni giorno il sole li rianima e nell’umida notte  

il serpente li sputa ridando vita allo stanco universo.  

Claudiano