Presente passato e futuro remoto, ai confini tra reale e virtuale

“Un movimento generale di virtualizzazione investe oggi non solo l’ambito dell’informazione e della comunicazione, ma anche il corpo, il sistema economico, i parametri collettivi della sensibilità e l’esercizio dell’intelligenza. La virtualizzazione si estende persino alle modalità della convivenza, alla costituzione della collettività, al “noi”: comunità virtuali, imprese virtuali, democrazia virtuale…..”

Pierre Levy

Nel corso del Novecento e soprattutto nella sua seconda metà le conoscenze umane hanno superato il “muro” dell’invisibile. La penetrazione e la manipolazione della struttura atomica e i nuovi confini della cosmologia hanno modificato, nella sostanza e nella misura, i concetti di spazio e di tempo sui quali si è fondata l’antropologia della modernità: l’anno luce e il nanosecondo non sono percepibili all’esperienza. La biologia molecolare ha rivoluzionato la nostra conoscenza della vita, detronizzando l’uomo dalla posizione di centralità rispetto all’intero universo (ragione ultima della creazione) a casuale risultato di una serie di accidenti evolutivi. Nel corso degli ultimi venti, trent’anni le tecnoscienze hanno riorganizzato i processi cognitivi e rimodellato il rapporto società-natura, natura–cultura, esperienza-conoscenza. Oggi la nostra specie occupa l’intero pianeta e non vi è più possibilità che una popolazione possa essere isolata riproduttivamente. La nostra evoluzione per selezione naturale è giunta al capolinea anche se continuiamo ad evolvere culturalmente. Proprio per questo la perdita di centralità dell’uomo al cosmo e del suo potere di ordinatore dell’universo è stata compensata da nuove dimensioni della conoscenza: ciò che si è perso in quantità e in superficie è stato guadagnato in profondità e complessità. Oltre la dimensione di ciò che è visibile e percepibile ai sensi, l’esperienza e la conoscenza umana si affacciano a nuovi scenari nei quali il presente come prodotto del passato si confonde con il futuro remoto dell’esperienza.

Tuttavia, nonostante l’emergenza di questi nuovi scenari che hanno reso visibili immense profondità stellari e il moto di infinitesime particelle, la conoscenza umana sembra saldamente radicarsi in un mondo chiuso, in angusti spazi cognitivi connessi ad un ingenuo antropocentrismo. E in questo mondo chiuso l’essere umano è rimasto ancora la centro dell’universo, rafforzato nella sua individualità e insieme impaurito per aver dimostrato le ragioni necessarie e sufficienti della sua solitudine. Nel comune sentire la storia dell’umanità, a fondazione mitico-religiosa, appare ancora ai più come il culmine e il perfezionamento della storia della natura e dell’universo, il tempo e lo spazio umano come unica dimensione possibile della conoscenza. Chiusi nella gabbia del passato, ne abbiamo buttato la chiave.

La cultura delle idee del nostro tempo è invece la storia dell’incrinatura e della dissoluzione di gabbie cognitive che gli esseri umani, almeno in quella tradizione del pensiero occidentale che chiamiamo modernità, hanno imposto a se stessi. Un progressiva dissoluzione che ci consente di rispondere in modo nuovo ad alcune vecchie domande. 

Che cosa è la realtà?

È il risultato della conoscenza. Noi costruiamo una visione del mondo a partire dalle nostre percezioni sensoriali personali e lo rappresentiamo concretamente come un insieme di oggetti dall’esistenza indipendente coi quali interagiamo: questa visione genera in qualche modo la nozione di realtà. Per effetto del sistema di comunicazioni umane che chiamiamo cultura, noi scambiamo l’insieme di queste percezioni e, a seconda del grado di intensità delle tecniche di comunicazione, alteriamo e modifichiamo la nozione stessa di realtà. Non appena ci allontaniamo dal livello personale per addentrarci nel sociale (nella rete di comunicazioni tra individui o gruppi) le rappresentazioni diventano via via più astratte, realizzano forme simboliche e cedono gradualmente spazio alla nozione complementare di virtualità. E questo insieme di rappresentazioni mutevoli è ciò che chiamiamo cultura.

Che cosa è la cultura?

La cultura è il risultato del percorso evolutivo (cerebrale-computazionale) della specie umana è una caratteristica esclusiva delle facoltà dell’uomo moderno (homo sapiens -50/70 mila anni), le quali consentono processi comunicativi (linguaggio, elaborazione di forme simboliche, tecniche di rappresentazione artistica, ecc.) e reti di relazioni a vario livello di intensità: ciò che chiamiamo socialità (società). La cultura, in quanto realizza l’organizzazione sociale, costituisce un fattore irreversibile di discontinuità con la natura (il ciclo evolutivo sull’arco degli ultimi 65 milioni di anni). In questo senso l’uomo moderno è un evento catastrofico (discontinuità) del processo evolutivo e la cultura è un sistema di comunicazioni a base tecnologica che genera la realtà realizzata e governata da processi mediatici autonomi.

Che cosa è la modernità?

È uno degli innumerevoli modelli di cultura realizzatosi in area europea tra il XV e il XX secolo (1486-1989). Come ogni modello di cultura è a fondazione mitico-religiosa (monoteismo giudaico, cristiano, islamico); il suo mito fondativo celebra la centralità dell’uomo al mondo (antropocentrismo), e una cosmologia creazionista (frutto cioè di un intervento di programmazione esterno al processo evolutivo). La civiltà/società moderna si fonda su tecnologie evolute di comunicazione (la scrittura, il calcolo computazionale, l’uso dell’immagine, le tecnologie del suono, ecc.) che sviluppano la percezione del soggetto (individualismo possessivo) in rapporto alla società intesa come rete complessa di comunicazioni umane. In quanto il modello culturale della modernità privilegia le capacità comunicative del soggetto, promuove la conoscenza come imperativo della specie (la “dignità dell’uomo”) e crea identità tra sapere e verità.

Che cosa è il disincanto?

È il processo di laicizzazione (progressiva riduzione della sfera del sacro/invisibile) che  consente la celebrazione della conoscenza come potere creativo della cultura umana (emancipazione) e implica una progressiva  sacralizzazione dell’uomo  e della sua cultura e del sociale come strumento di governo e umanizzazione (colonizzazione) della natura. 

Che cosa è la storia?

È il processo di laicizzazione/umanizzazione del tempo (da  disegno provvidenziale a prodotto dell’uomo) che consente di conciliare la cosmologia creazionista con la discontinuità introdotta dalla cultura umana. La storia, e cioè la tecnica  di scrittura/invenzione/adeguamento del passato (storiografia), è la narrazione delle origini e svolge il ruolo di mito fondativo del modello culturale della modernità. La storiografia, alla quale viene affidato il compito di conciliare continuità e discontinuità a partire dal presente, crea un ambiente virtuale (il passato/presente), e in questo senso è una tecnica di comunicazione evoluta, un linguaggio i cui vocaboli sono gli eventi. La coerente successione degli eventi assicura infatti il controllo e il governo del tempo: in questo senso la “verità” storica offre una rappresentazione della realtà universalmente condivisa, conferisce identità all’organizzazione sociale e organizza in modo esclusivo le idee in sistemi chiusi e comunicabili (le ideologie come “comune sentire” o “memoria collettiva”).

Che cosa è il fondamentalismo?

Il fondamentalismo (espressione nata negli anni ’20 in Tennesse a seguito di una disputata tra creazionisti ed evoluzionisti) è il DNA e il prodotto più sofisticato della cultura della modernità in quanto modello di cultura fondato sulle ideologie che assicurano identità tra sapere e verità e costruiscono (costruzionismo) apparati rigidi e gerarchici (disciplinari ed enciclopedici) certificati dalla “verità storica” e dal mito delle origini che essa racconta. Il fondamentalismo è la rivendicazione della centralità dell’uomo moderno/occidentale al mondo certificata dalla “verità storica”. In questo senso la sequenza che regge la modernità è: storia (centralità dell’uomo nella produzione e organizzazione del tempo), potere (funzione pubblica e politica del sapere inteso come verità “storicamente” rivelata), progresso (garanzia dell’emancipazione umana attraverso l’umanizzazione del tempo e l’uso politico del sapere).

Che cosa è il postmoderno?

È la consapevolezza della modernità come modello di cultura produttore di ideologie e di racconti (o metaracconti) delle origini e del suo superamento per effetto della decostruzione di questi stessi apparati ideologico/narrativi conseguente allo sviluppo tecnologico del XX secolo (rivoluzione atomica, genetica, informatica). Il postmoderno (o “modernità radicale” o “neomodernità” o “revisione critica della modernità”) costituisce una discontinuità irreversibile con il ciclo evolutivo dell’uomo moderno, decostruisce il fondamentalismo della conoscenza a favore di un relativismo del sapere  e di conseguenza esclude ogni possibile interferenza tra società (cultura) e natura (realtà oggettiva) rinunciando quindi ad ogni possibile identità tra sapere e verità, tra ideologie e “verità storica”, a favore dei processi di comunicazione non governati dalle ideologie.

Che cosa è l’innovazione?

È la frattura radicale con il modello culturale della modernità. L’innovazione è l’accettazione (e la produzione) del “nuovo” (quindi imprevedibile, inatteso, istantaneo, caotico e discontinuo rispetto al passato) che si fonda sull’emergenza delle nuove tecnologie alla quali spetta di assicurare il sistema di comunicazioni umane. I questo senso l’innovazione è l’insieme di manufatti, processi produttivi, servizi, reti di comunicazione e stili di vita che nascono, si intrecciano, interagiscono ed evolvono per effetto delle tecnoscienze e dell’uso appropriato della tecnologia che caratterizza un nuovo modello di convivenza umana: la società della conoscenza (società della comunicazione e dell’accesso all’informazione).

Che cosa è la società della conoscenza?

La società della conoscenza è un nuovo modello di organizzazione umana fondato sulla  produzione e sulla libera circolazione del sapere e caratterizzato da strategie e politiche dell’innovazione volte a promuovere: una cultura delle idee, un mercato delle tecnologie e una città virtuale della collaborazione tra uomo e macchina, tra individui e istituzioni, enti, imprese, la cui missione è la produzione, il controllo e il buon uso delle tecnologie. In questo senso la sequenza che regge la società della conoscenza è: collaborazione (integrazione tra uomo e machina), organizzazione (come risultato dell’integrazione), innovazione (produzione del nuovo come discontinuità evolutiva).

Che cosa è la comunicazione digitale?

È una nuova (innovativa) tecnica delle comunicazioni umane che mette a profitto le capacità computazionali/connettive del cervello e realizza strumenti volti alla creazioni di “ambienti virtuali” i quali interagiscono con la realtà (“realtà virtuale”) e sviluppano nuove forme di conoscenza. La comunicazione digitale è dunque una nuova “cultura delle idee” che genera innovazione, nega il fondamento mitico-religioso (fondamentalista) della centralità dell’uomo al cosmo e destruttura il tradizionale approccio lineare alla temporalità (passato, presente, futuro) a tutto vantaggio di una visione/produzione della realtà liberata dalle rigide opposizioni tra reale e virtuale.

Che cosa è la realtà virtuale?

Questo ossimoro, solo apparente, esprime il punto di arrivo dell’esperienza della modernità e il superamento del precario equilibrio che il pensiero occidentale ha mantenuto tra le opposte concezioni: quella di una realtà percepita come icona della virtualità (platonismo) e quella di una virtualità percepita come icona della realtà (idealismo). La creazione/produzione di ambienti e mondi virtuali, resa possibile dalle nuove tecniche di comunicazione digitale, consente il superamento dei tradizionali confini di spazio e di tempo (la sincronizzazione rimpiazza l’unità di tempo, l’interconnesione sostituisce l’unità di luogo) che hanno sempre diviso il presente passato dal futuro remoto.

Che cosa vi è oltre il confine tra reale e virtuale, tra il passato/presente e il futuro remoto della nostra esperienza? Vi è probabilmente la novità del nuovo e cioè la categoria del discontinuo come superamento del modello culturale della modernità. Vi sono nuovi ambienti, scenari e habitat che costituiscono altrettanti mondi, spazi e tempi paralleli, percorsi nuovi e nuve reti sistemiche di oggetti, eventi, emozioni. Detto in breve e banalmente vi è un altro “mondo nuovo”, altre cose e cose dell’altro mondo.

Le cose dell’altro mondo

Un’altra antropologia.

L’epilogo della modernità e la discontinuità del postmoderno hanno definitivamente sconvolto i rapporti tra reale e virtuale, storia e narrazione, potere e sapere. L’intera cultura occidentale del XX secolo ha, a suo modo, minato le fondamenta del realismo ingenuo praticato nei secoli della modernità: la letteratura (sono usciti di scena non solo il racconto, ma addirittura l’autore),  la linguistica (il testo è stato dissolto dal decostruzionismo), la pittura (nel surrealismo è scomparsa la logica, nell’astrattismo la descrizione), l’architettura (a Disneyland e Las Vegas è nata l’iperrealtà), la politica (la sua spettacolarizzazione ha reso invisibile il banchetto degli affari), l’economia (la pubblicità è divenuta il vero prodotto), i media (la notizia non comunica più l’avvenimento, lo crea), la guerra (il campo di battaglia ed il sangue sono stati sostituiti da uno schermo e da impulsi elettronici), lo sport (l’importante non è più parteciparvi, ma assistervi o anche solo parlarne), l’antropologia (la realtà si è rivelata come un prodotto culturale e mitologico), la fisica (la materia si è trasformata in campi ed energia), la matematica (la descrizione del mondo fisico ha ceduto il passo ai sistemi astratti). E così via. Fratture, rovesciamenti, nuove percezioni.

Nel corso degli ultimi 20/25 anni colori, odori, percezioni tattili, suoni, il paesaggio e più in generale l’habitat umano, sono radicalmente e definitivamente mutati rispetto al passato remoto dell’umanità: le nostre percezioni sensoriali ci restituiscono un mondo nuovo nel quale l’evoluzione umana, superato il confronto natura/cultura; si configura come una coevoluzione con la tecnologia. Il diluvio informazionale e le tecniche che lo sorreggono ha creato una cybersfera che si integra e in qualche modo si sostituisce alla bio e ionosfera.

Per effetto delle nuove tecnologie di comunicazione e virtualizzazione, il soggetto ha conseguito l’obbiettivo della sua ubiquità: noi ci ritroviamo dispersi nella spazio grazie alle tecniche di telepresenza. La struttura corporea è in corso di sradicamento rispetto ai ritmi e ai modi del processo evolutivo a tal punto che il corso della specie homo sapiens sembra al capolinea di una estinzione di massa. L’iconografia medica rende trasparente l’interiorità organica e consente la costruzione di nuovi ambienti corporei. I trapianti di organi e le protasi realizzano nuovi modelli di organismo. La chirurgia estetica consente di rimodellare l’apparenza e la fisiognomica con al conseguente mutazione delle tecniche di comunicazione corporea e di riconscibilità/identità degli individui. Più in generale la specie produce più informazioni-conoscenze (più cultura e sapere) di quanto il singolo individuo, il soggetto, sia in grado di controllare. Si parla al riguardo di una “intelligenza collettiva” frutto dei processi di comunicazione ormai fuori controllo.

Questo stato di cose sembra determinare il superamento (o l’archiviazione) del modello antropologico della modernità (antropocentrico ed eurocentrico) e il netto prevalere nella nostre funzioni cerebrali delle capacità connettive su quella computazionali. Il futuro evolutivo della specie (non più biologico, ma tecnologico) sembra orientarsi verso un homo tecnologicus, un uomo elettronico o un cymbionte tale da coevolvere (o di ricongiungersi) con le dimensioni più invisibile (e non solo illusive o virtuali) del reale (particelle, contaminazioni biogenetiche, noogenetiche, ecc.). Ciò non significa che i robot erediteranno la terra, ma certo che la specie per sopravvivere deve realizzare una mutazione o metamorfosi tale da assicurarle la fruizione dei (e coesistenza coi) nuovi orizzonti, delle inattese profondità della cultura e delle sue nuove modalità di produzione. Si dice insomma che se i robot erediteranno la terra e lo spazio, saranno comunque figli nostri.

Lo scenario, possibile ma anche probabile, potrebbe definitivamente archiviare ogni alterità tra visibile e invisibile, materiale e immateriale, esperienza e conoscenza, ragione e immaginazione, reale e virtuale che ha fatto il tono della malattia della modernità e del disagio dell’uomo moderno (homo sapiens). La parola passa probabilmente ai neurobiologi, agli specialisti di interfaccia uomo macchina e di tutti quegli ambiti operativi delle tecnoscienze (o nuovi saperi) che realizzano collaborazione inattese tra umanisti e scienziati.

Certo, questo probabile esito evolutivo catastrofico (cioè discontinuo), annuncia un altro modello di società (intesa come connessione sistemica e complessità): una nuova antropologia fonda, in qualche modo, un nuovo modello di organizzazione sociale.

Un’altra società.

Le nuove opzioni antropologico-evolutive, modificherebbero automaticamente il tradizionale modello di società a fondazione antropocentrica e il concetto di integrità e universalità (cioè perpetuità) che si connette alla mitologia della “dignità dell’uomo” (soggetto in grado di autodeterminarsi senza vincolo che non quelli morali). Se la società è il prodotto più visibile della cultura e la cultura umana è la più profonda discontinuità con la natura (cioè con il processo di evoluzione biologica) e se infine la cultura umana è un sistema di comunicazioni a base tecnologica, non vi è dubbio che la mutazione antropologica in corso sfonda i confini del sociale inteso come insieme di relazioni (reti) più o meno stabili tra individui della stessa specie.

La complessità di queste reti sembra infatti dilatarsi a dismisura oltre i “soggetti” come siamo stati abituati a percepirli. I diritti dell’embrione, delle specie in via di estinzione, degli ecosistemi e, in prospettiva, di cellule e particelle creano reti di connessione, comunicazione, complessità (complexum significa connesso, legato insieme) che confondono sempre più la sociosfera con la biosfera e la cybersfera.

L’idea di una nuova, emergente identità umana, “l’identità planetaria” dell’uomo di oggi e del secolo a venire, indica probabilmente la compresenza di una infinita pluralità di attori/interlocutori nel tradizionale sistema di relazioni umane e denuncia la necessità di patti ben più articolati di quelli posti in essere dal pensiero moderno per giustificare e regolamentare l’autonomia del sociale. Si avverte forse la necessità che l’uomo e la specie facciano un passo indietro (o avanti) nel rapporto istituito dalla cultura della modernità tra società e natura. È quanto viene richiesto, ad esempio, nell’ “avvertimento degli scienziati del mondo all’umanità”: la “rotta di collisione tra uomo e natura” implica una ricollocazione del soggetto che sposta oltre i confini tradizionali dell’ideologia ambientalista; la contiguità tra uomo e ambiente diviene qui compresenza e coevoluzione delle forme di vita.

Insomma l’idea ancestrale di un sistema di relazioni umane chiuso in linguaggi, rappresentazioni, e produzioni simboliche (tutti processi di virtualizzazione) frutto della tradizionale trasmissione del sapere (oralità, scrittura, forme artistiche artigianali, miti narrativi, ecc.) sembra destinata ad una sorta di metamorfosi conseguente alle nuove opportunità tecnologiche del comunicare: non solo siamo entrati in comunicazione con l’invisibile e oltre i tradizionali confini antropologici del tempo e dello spazio, ma l’organizzazione umana, per effetto della crescente complessità, scopre di intergire con reti sistemiche un tempo ignote. I modelli matematici di simulazione della azioni di organizzazioni e micro-organizzazioni (situazioni, aziende, gruppi formali e informali) non rivelano solo l’intreccio con le variabili classiche delle relazioni tra individui, ma di questi con le dimensioni materiali e immateriali che le tecnoscienze consentono di individuare. La società umana come prodotto privilegiato del processo storico-evolutivo della specie, generata dalle “leggi di natura” e fondata mitologie contrattualistiche su risulta vieppiù un cantiere di ricerca ristretto e fragile nei suoi tradizionali confini.

Le più accreditate previsioni sul futuro di breve termine segnalano una netta e irreversibile frattura con il passato storico (la litografia) che ha fondato le disciple umanistiche del XIX e del XX secolo. Per effetto della sua crescita demografica e del movimento di popolazioni e culture, il XXI secolo sta generando nuovi modelli di organizzazione (le megalopoli) che non trovano riscontro nella storia dell’umanità e che si configurano come veri e propri organismi complessi frutto di una progettazione/programmazione di ambienti virtuali i quali intrecciano sociosfera, biosfera e noosfera. In questi nuovi ambienti le solidarietà tradizionali sulle quali si interrogano sociologi a psicologi sociali non sembrano destinate a ricomporsi nei codici di potere della modernità e il concetto di cittadinanza e appartenenza sembra destinato a una progressiva archiviazione.

Altri poteri.

Le metamorfosi in corso nei processi storico/evolutivi trovano una conferma nella diversa velocità che segna lo sviluppo di una nuova antropologia e di nuovi modelli di organizzazione sociale rispetto alla situazione di stasi degli apparati ideologici e politico dottrinari elaborati dal pensiero occidentale nei secoli della modernità. La deriva fondamentalista del pensiero politico occidentale sembra imporsi come il fattore di più strenua resistenza della deriva mitico-religiosa (che ha fatto il tono dell’antropocentrismo e dell’eurocentrismo) verso il nuovo. La storia del XXI secolo sarebbe gia tutta iscritta in un conflitto profetico/apocalittico finale tra le forze del bene (i sistemi politici dei paesi avanzati di matrice cristiana) e quelle del male (il terrorismo di matrice islamica). Il terrorismo, che altro non è se non la resistenza violenta alle vocazioni imperiali dell’unipolarismo (e la minaccia agli interessi dei poteri sovra e multinazionali dei poteri che controllano l’economia globalizzata), è divenuto il mito del XXI secolo e il punto di fuga del sentire politico verso i miti fondativi della cultura occidentale. In queste condizioni il passato del presente rischia di pregiudicare il futuro remoto. Il rapporto tra potere e sapere diviene progressivamente uso distorto e regressivo del pensiero scientifico e delle conoscenze, diviene tentativo di mercificazione dell’immaginario e della creatività umana. Il dibattito sul futuro del presente replica la tradizionale opposizione tra antico e moderno, vecchio e nuovo, scienze e humanitates

Nei fatti si assiste alla crisi dell’idea di sovranità e della forma stato che hanno assicurato l’ordine sociale e la struttura sistemica delle società umane per più di due secoli. La crisi della forma e del mito dello stato (e di conseguenza dell’identità offerta dal principio di cittadinanza) non lascia per ora intravedere nuovi poteri in grado di ricostruire un ordine universale. Anche perché, e con questo si può concludere, quanto ci insegnano i nuovi saperi lascia intendere che proprio un “ordine universale” non esiste e mai è esistito e che solo un nuovo modello di conoscenza che per ora si può definire quello dell’innovazione (della capacità di produrre costantemente il nuovo) sembra destinato, insieme a robot a ereditare la terra.