Finalmente il paradiso in terra
Si guardò ancora indietro. Con legittimo orgoglio ripensò alla fatica, alle battaglie degli anni della gioventù, all’esaltante avventura del “grande Progetto”. Ricordava bene, lo ricordava sempre, il giorno e l’ora della convocazione di fronte al Presidente: lui, proprio lui era stato scelto. Trasformare la precarietà della vita su una terra posta ormai all’estremo rischio, in una opportunità di beatitudine, in un paradiso terrestre. E come non accettare? Le ore di lavoro non le aveva contate più. Il tempo passava come un fremito di eccitazione immerso nell’entusiasmo dei ricercatori e nell’ebbrezza delle scoperte che, giorno dopo giorno, i laboratori gli avevano riservato.
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“Ecco, Ingegnere, mi ascolti bene: tutto succede perché lei non segue le prescrizioni. Si impegni, su! che cosa le costa? un po’ di metodo, via! in fondo sono tre pastiglie al giorno e … come dice la pubblicità? … ah sì, ecco: << mandale giù e non ci pensi più >>. Faccia così mi ascolti; si fidi, caro ingegnere”.
“Ma no, ma no, mi creda lei dottor Bagnati: guardi che io la cura la faccio come prescritto. Mi conosce no! mi conosce da tanti anni, vero?”. Fece una pausa lunga, pensosa e sconsolata. “Io le prescrizioni le seguo alla lettera: una pastiglia al mattino e poi due alla sera … con lo sciroppo. Tutti i santi giorni. E però continuo a pensarci, non dormo, ho paura dottore. Ho paura. Sono inquieto …”.
“Ma, caro ingegner Garancini,” intervenne con voce paterna e autoritaria il dottore “proprio lei! proprio lei che ha lavorato alla ricerca per tutta la vita? lei che è stato, se non al centro, certo indirettamente coinvolto nel Progetto. Ma lei lo sa quanti anni, quanti investimenti per mettere a punto la terapia? lei lo sa quante difficoltà per arrivare allo scopo? Non dica sciocchezze, su!: la terapia è perfetta, comprovata, sperimentata e i risultati li dà, e come se li dà! Altrimenti come sarebbe possibile andare avanti? che ne sarebbe del Progetto, del suo scopo, delle ragioni stesse della socialità? Ma lei ha mai sentito qualcuno che se ne lamenti?”.
Rimasero per un poco in silenzio come assenti e ormai presi da altri pensieri. “Senta ingegnere, sa cosa le dico? Facciamo così: che alla normale terapia lei aggiunge una cura temporanea, diciamo … tre giorni massimo, tre giorni di Ansedamin. E’ una grave infrazione alle regole, alle prescrizioni e alla deontologia professionale, però lei non ne parla, io non ne so niente … Ecco qui: cominci da adesso, ne pigli subito nove gocce e poi, a crescere, fino a quindici al giorno … Ecco: beva. Va bene così?”
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Fuori l’ingegner Garancini incontrò la stessa giornata di sole che aveva lasciato prima di entrare nell’ambulatorio sociale del dottor Francesco Bagnati. Un poco più limpida, un poco più fresca come se l’estate avesse fatto un passo più in là. Si vedevano appena le foglie ingiallire e si sentivano i prati umidi. Era questa promessa d’autunno a suscitare le ansie che lo tormentavano in vista dell’evento annunciato? Oppure la cura non funzionava? O, per una volta, sentiva il guizzo di un sentimento eternamente celato e negato: la solitudine? Oppure, più banalmente e drammaticamente, qualcosa nel Progetto non funzionava davvero? Insomma pensieri, ma pensieri blasfemi.
Naturalmente lui, pignolo e preciso com’era, si era preparato da tempo. Come tutti lo sapeva, lo aveva sempre saputo: il momento doveva arrivare. Come il giorno della pensione quando, come tutti, aveva subito fatto, il conto alla rovescia prima dei mesi, poi delle settimane e dei giorni. Mancavano sei mesi, poi tre, poi uno, poi venti giorni, dieci, l’ultima settimana … Era stato così anche per il matrimonio e per la nascita di Federico: il giorno doveva arrivare, era previsto e rigorosamente programmato. Nessuna incertezza, nessun possibile errore. Tutto come un orologio, con un ticchettio gentile e discreto; in definitiva, confortante.
Davanti a lui il grande orologio dell’angolo segnava l’ora del mattino. L’orologio era sempre stato lì, se lo ricordava da sempre. L’ingegner Garancini aveva da anni il vezzo di passarci sotto all’ora precisa e confrontare le lancette con i numeri del suo orologio digitale. Le undici giuste. Fece un rapido calcolo: ancora ottattantatré giorni. Il giorno previsto era nel cuore dell’inverno; il nove gennaio. Previsto, programmato. Sarebbe arrivato con ragionevole puntualità e proprio questa scontata puntualità aveva un potere rassicurante. Se ne poteva parlare, si poteva prevedere, organizzare, mettere a posto ogni cosa e, insomma, far le valigie. Ci sarebbe stata l’ultima mattina, l’ultimo passaggio sotto quell’orologio, l’ultima ora e poi …
Si guardò indietro nel pigro silenzio della strada e del quartiere. Gli alberi erano ormai cresciuti e del paesaggio della sua infanzia non era rimasto più nulla. Il giardino aveva sommerso le case con i suoi vapori e con i suoi profumi. La vegetazione rigogliosa e curata attutiva i rumori, li disperdeva in una pace dolcissima, amica, coinvolgente.
Si guardò indietro. Ricordava tutto dei suoi settantasette anni: gli amici dell’adolescenza, le frequentazioni della maturità, la rimpatriata della vecchiaia. Ricordava la lunga consuetudine con la moglie, la meravigliosa esperienza della paternità, così completa, così felice. Anche la sua carriera era lì alle sue spalle, tutto un brillante futuro ormai consumato. Due strade più in giù, poi a sinistra nel parco dove l’ufficio che lo aveva ospitato per trentacinque anni adesso, e come sempre, era pieno di sole. Sì, caro Ingegnere, una vita piena, serena, vissuta e ormai ripensata, rivissuta da anni sul filo limpidissimo di ricordi che ne spiegano il semplice segreto: era tutta passata, tuta sua finalmente, davvero esclusivamente sua. Insomma quella vita, come quella strada, come quel quartiere erano stati davvero un paradiso. Si poteva, si doveva concludere.
Si guardò ancora indietro. Con legittimo orgoglio ripensò alla fatica, alle battaglie degli anni della gioventù, all’esaltante avventura del “grande Progetto”. Ricordava bene, lo ricordava sempre, il giorno e l’ora della convocazione di fronte al Presidente: lui, proprio lui era stato scelto. Trasformare la precarietà della vita su una terra posta ormai all’estremo rischio della catastrofe ecologica e della sterilità, in una opportunità di beatitudine, in un paradiso terrestre. E come non accettare? Le ore di lavoro non le aveva contate più. Il tempo passava come un fremito di eccitazione immerso nell’entusiasmo dei ricercatori e nell’ebbrezza delle scoperte che, giorno dopo giorno, i laboratori gli avevano riservato.
“La felicità garantita”, “la vita resa sicura e immune dalle malattie”, “la pace e la realtà del paradiso in terra”: erano queste le direttive più che ambiziose, addirittura ciclopiche del “Progetto” al quale dedicare la vita intera senza riserve. Un cammino tutto in salita ricco di rischi, ma anche un’avventura titanica priva di uscite di sicurezza. Bisognava vincere: offrire le condizioni reali della felicità, materializzarla come pratica di vita.
E il presupposto, il fondamento e l’obiettivo stesso di questa sfida? Semplice: una programmazione rigorosa non solo delle nascite, ma anche delle morti. Una vita media (fissata a settantasette anni per legge) davvero assicurata, vissuta davvero. Una vita media, piena e garantita per tutti, in abbondanza, in salute, libera dalle miserie dell’incertezza e dalle violenze della socialità inquieta. La vittoria definitiva, irreversibile, sulle barbarie dell’humanitas.
Quante incomprensioni, quante battaglie, quanti freni opposti dall’incredulità, dalla superstizione ideologica e ideologica! Anzi, per un attimo, l’ingegner Garancini lo ricordava bene, tutto sembrò perduto, il Progetto archiviato, il mondo pronto a ripiombare nel caos. E fu proprio allora, fu il suo laboratorio di neurobiologia molecolare a studiare la formula della terapia “Q.C.” (Terapia della quiete e del convincimento). Sì, in un mese di settembre, se lo ricordava benissimo, e proprio in un giorno di sole e di vento, l’intero sistema del laboratorio fu attraversato dalla notizia. Solo la Terapia della quiete e del convincimento avrebbe potuto dare vera attuazione al Progetto. Poi il cammino fu tutto in discesa: ordine, benessere, ripresa della socialità, senso di fratellanza, giustizia. Solo la vita davvero programmata poteva essere degnamente e razionalmente vissuta. Solo una codifica demografica e genetica insieme poteva essere fonte di giustizia, eguaglianza, libertà. L’ingegner Garancini sussultò di legittimo orgoglio.
Si lasciò prendere e guidare per mano dalla brezza frizzante di quella mattina d’agosto, dal vento leggero dei ricordi e dall’effetto dei farmaci che distendevano il suo animo senza più increspature, senza alcuna inquietudine che gli ricordasse quanto poteva essere ossessivo il battere accelerato del cuore. Un mare quieto illuminato dal sole. Riuscì a pensare con una stimolante curiosità alla poche cose che ancora doveva fare e a tutto il tempo che gli restava (ancora ottantatré giorni!). No, le sue abitudini per fortuna non sarebbero mutate, nessuna frattura dei ritmi, nessun intoppo, tutto liscio fino al raduno con i suoi coscritti per il nove gennaio, il giorno del suo compleanno. Poi la piccola cerimonia, il commiato, i riconoscimenti, il rituale austero e solenne del passaggio di testimone al figlio … tutto liscio in serenità e piena letizia. Il giorno del Commiato era e sarebbe stato in eterno l’istituzione centrale a quel ciclo prodigioso che chiamiamo vita. Non una temibile resa dei conti, ma un meritato trionfo, il culmine dell’unico capolavoro che ci è dato concludere, la sua gloriosa certificazione Tutto come previsto, come promesso.
E invece no.
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L’imprevisto, il dramma dell’ingegner Garancini scoppiò esattamente alle nove e quarantacinque minuti di martedì quattordici agosto, nell’istante esatto della consueta apertura del giornale. L’effetto positivo della terapia che lo aveva riconciliato con tutto il suo orgoglio e tutto il suo passato svanì come d’incanto in un tumulto di passioni e tensioni che lui mai, mai e poi mai aveva provato nel corso del rigoroso programma di una vita beata e serena. Una marea che divenne tempesta, una tempesta che divenne vertigine. Gli bastò la lettura del titolo di prima pagina e fu la paralisi, un colpo di tuono e un fracasso irreversibile: “La vita media sale a settantotto anni: la decisione del governo è l’esito del buon andamento economico certificata dai più recenti indicatori statistici”. Dieci, venti, trenta colonne; una pagina intera, tutta la prima pagina, tutto il giornale forse. Articoli, inchieste, testimonianze, interviste, euforia, festeggiamenti. E, per Garancini, paralisi e un tuffo al cuore.
Garancini rimase irrigidito per un tempo che poteva essere un minuto, un anno, tutta una vita. Il velo incandescente di neve che copriva le pupille, le distese luminose del parco si oscurarono.
La tazzina del caffè cominciò a tremare di un fremito incontrollabile e un vero terremoto disperse le pastiglie della Terapia sul pavimento.
“Decisione del governo di innalzare la vita media a settantotto anni. Ieri, in considerazione del buon andamento delle finanze pubbliche, su proposta del ministro della previdenza sociale e sentito il parere dei ministri finanziari, il governo ha varato un provvedimento che prevede per il prossimo anno un innalzamento della vita media a settantotto anni. Il provvedimento rientra nella legge finanziaria dello stato ed è esecutivo. Di conseguenza le pratiche degli aventi diritto al Commiato sono sospese. Il calendario delle “feste di commiato e addio” è cancellato a far tempo dal primo gennaio. Trapelata la notizia nella tarda notte di ieri, le Camere, in seduta congiunta, hanno applaudito all’iniziativa del governo; il Capo dello Stato ha invito le felicitazioni agli interessati. Negli ambienti bene informati non si fa mistero del fatto che questa iniziativa è destinata a rafforzare la maggioranza scongiurando, per il momento, ogni ricorso alle urne …”.
Un nodo alla gola e il rumoreggiare del cuore in palpitazione accelerata gli impedirono di andare una riga più in là. L’ingegner Garancini era già in strada a passo di corsa, rotolava come una trottola a fine corsa.
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“Si calmi ingegnere, si calmi per carità! ecco prenda, beva subito questo …”.
“Dottore, dottor Bagnati, sto male. Lo sente il cuore, lo sente? … ma faccia qualcosa! …”
“Si calmi, si calmi. Ma che sarà mai! Tanto la terapia continua, anzi ne potremmo studiare una più appropriata, personalizzata. In casi del genere sicuramente si può. Ci daranno le autorizzazioni, stia tranquillo ingegnere. In fondo … la vita continua, no?”
“Ma no, ma no dottore, lei la fa semplice, troppo semplice … dio, dio mio che ansia dottore! Ecco senta qui il polso … E poi … poi di un anno in più che me ne faccio, mi dica? che me ne faccio?”