Consultorio Genetico per la Garanzia della Posterità

Oggi il Consultorio Genetico per la Garanzia della Posterità non è più lì e si è trasferito nella sezione distaccata del Ministero delle biotecnologie al servizio dell’Umanità, anche la legislazione è cambiata, le procedure, il complessivo della burocrazia. Il dottor Botero non c’è più, Federico e Francesca si sono persi nell’anonimato della città dalla quale erano venuti per quella giornata di gloria e di conquista dell’immortalità. 

*         *         *

Capita un giorno, e non puoi mai sapere qual è, capita un giorno che la voglia ti viene. Ti viene la voglia di immortalità. Ti viene dentro, tra i polmoni e il diaframma; senti che vibra, che sei immerso nel vuoto. Galleggi senza un perché ed è sempre stato così; poi un giorno hai la sensazione del vuoto, di una solitudine immensa, come di un tunnel che rischia di non finire mai. E tu viaggi, corri, ti perdi perché di uscita non se ne parla. E’ sempre stato così, certo ora lo sai, ma ora, proprio ora, lo capisci che avanti non c’è altro che il buio. Il buio… e tu vuoi un raggio di sole.

     Voglio dire, ma voi mi capite, che quel giorno scopri di essere al limite estremo, di non volere più nulla, di avere consumato già tutto: il tunnel non finirà perché ci sei dentro, è il tuo e quello di tutta la tua vita. Di li non si esce più.

     Questione di istanti, minuti forse, di luci e sapori, di odori e colori; di ombre probabilmente.

     Secondo me è un fatto visivo: un tremito interiore passa attraverso le pupille e le palpebre, come dire… un annebbiamento. Tutto qui.

     Allora, e forse per un solo istante, come un cieco cerchi la mano di chi ti deve guidare.  La trovi, la stringi con timore e passione, la stringi … ed è una carezza. Un figlio lo si vuole così. Non c’è un perché se non nella decisione di volerlo, di averlo. E lo vuoi. E’ una decisone defintiva, incontrovertibile, al di fuori di ogni controllo. Un figlio, tuo figlio!

     Quel che dopo succede, anche quello, è successo a tutti. Pensieri razionali, programmi, analisi, consigli: burocrazia dell’esistenza e niente di più. Ci siamo passati tutti e la scena ci è nota. Te al ricordi quella sala, quell’ufficio? Te lo ricordi il “dottore” e lo schermo del computer pieno di dati, luci, colori, magiche animazioni, movimenti enigmatici? Te lo ricordi?

     Potrei ripetere tutto dalla a alla z … come se ci fossi stato. Sarà stata una giornata di luglio. Il 23 di luglio, precisamente.

C’era un sole caldo e afoso a metà strada tra il Cancro e il Leone, poi un viale immobile, un verde sudato di foglie e fiori stanchi dell’intensità della luce, un gigante di cemento bianco, una porta di cristallo buio e dentro un fresco condizionamento che ti porta a camminare leggero verso quella porta, quella sala d’attesa tutta per te. Poi un attimo di silenzio, uno sguardo, un turbamento e ancora una stretta di mano. Una carezza.

     Oggi il Consultorio Genetico per la Garanzia della Posterità non è più lì e si è trasferito nella sezione distaccata del Ministero delle biotecnologie al servizio dell’Umanità, anche la legislazione è cambiata, le procedure, il complessivo della burocrazia. Il dottor Botero non c’è più, Federico e Francesca si sono persi nell’anonimato della città dalla quale erano venuti per quella giornata di gloria e di conquista della immortalità. Il palazzo di cemento bianco, la porta di cristallo nero fumo, i corridoi, la sala d’aspetto e persino l’arredo dello studio del dottor Botero sono rimasti così come erano: eleganti nella loro assoluta sobrietà, freddi ma silenziosi. Bianco, blu. Grigio. Federico e Francesca rimasero lì per meno di un minuto. Poi la porta delle studio si aprì.

     “Ecco, prego, avanti. Vi aspettavo. Federico, vero? Ma certo e… e tu sei naturalmente Francesca. Avanti prego; sono tutto per voi. Buongiorno. Eccoci qua, accomodatevi pure”.   Ci fu un tonfo al cuore, il dottor Botero girò il monitor verso i due giovani.

     “Ecco qui, tutto pronto, possiamo cominciare” e poi una pausa lunga come tutta una vita “sì, ecco! certo la burocrazia è lenta, lenta… ma alla fine efficace. Poi, diciamolo francamente, non siamo proprio agli inizi, però non è come dire. Proprio no. Sono analisi difficili, complesse ancor più che complicate… insomma un po’ di tempo ci vuole. Quanti giorni?” 

     E fu un coro angosciato: “Tre settimane, dottore, tre settimane!”. Botero sorrise paziente e dolce come un padre vero, un nonno anzi. Avrà avuto una novantina d’anni e sul volto già si leggevano alcuni segni del tempo: qualche capello bianco, appena visibile, una ruga all’angola della bocca, il corpo appena appesantito. Era lo sguardo, dolce e quasi stanco, a denunciare l’esperienza dell’età. Non che gli mancasse il guizzo dell’intelligenza pronto a trasformarsi in impazienza, ma era tenuto a bada dalla consuetudine antica di rapporti burocratici, di dialoghi continui, incessanti con il pubblico perennemente ansioso di tutti coloro che, una volta e una sola volta nella vita, avevano preso la decisione di assicurarsi una posterità. Botero guardava, pazientava, coccolava il suo pubblico di giovani cinquantenni e sessantenni giunti al culmine della loro esperienza di vita, alla inevitabile consapevolezza del tunnel. Federico e Francesca, appunto, ancor così scattanti e impazienti nei loro sessant’anni appena suonati.

     Botero scivolava in quelle complesse procedure di dialogo, consiglio, convincimento e di lui si diceva che avesse un dono particolare nel trattare coi giovani. Era quieto e persuasivo, autorevole; insomma ti metteva a suo agio. Sapeva parlare e tacere, cominciare e finire, dava tempo al tempo (questione di attimi, secondi, minuti), lasciava correre l’onda delle emozioni per poi governala; allora riusciva a prenderti per mano e darti un appoggio. Conosceva soprattutto la tensione indicibile della copia in quei particolari momenti. Osservava il disagio, pesava il livello dell’ansia, osservava la ricerca dalla mano dell’uno verso l’altra, percepiva l’incrociarsi degli sguardi quando il cuore fa un tonfo all’ingiù. “Ricordatevi, ricordatevi bene” diceva Botero ai suoi giovani collaboratori “ricordatevi che davanti a voi non vi sono due persone, due individui, due solitudini o due distinti esseri umani. No. Vi trovate di fronte a un flusso biologico, a una danza creatrice sorretta da un concerto di mille strumenti, di cellule che si illuminano, vivono, grondano, secernono. E voi, voi dovete ascoltare, dirigere, dare il là, fissare le pause; dovete piegarvi a una finissima armonia, aiutare. Molti dicono che è come una volta: tirar fuori il neonato col forcipe. Io vado ancora più in là: un atto magico e alchemico, è il grande privilegio essere al servizio della posterità”.

     Questione di istanti che andavano indietro nel tempo di tutta la sua vite e poi e Botero, faccia a faccia con Federico e Francesca, celebrò il suo rito.

“Ecco amici miei, certo tre settimane sono lunghe a passare quando la decisione è venuta, lo so, ma il tempo non è sprecato, credetemi. Guardate qui” e clic! Sullo schermo comparve un correre vertiginoso di dati e diagrammi, poi una terrificante esplosione di membra, arti, apparati ossei in rotazione e in fuga verso l’eternità di una banca dati remota allo sguardo. Una danza mai vista di colori e luci, di eteree profondità. Uno spettacolo mai visto e mai sospettato: la creazione nell’istante di essere tale. Introibo ad altare dei, Botero lasciò sapientemente scivolar via il tempo pietrificato dello stupore e dell’inevitabile abbandono, ad deum qui letficat juventutem meam. Passarono gli anni, i millenni, le ere di una esperienza che doveva inevitabilmente condurre al misterium tremendum et fascinans alla tensione estrema dell’ansia e del terrore, più intenso, sempre più intenso, tanto forte da far tremare il cuore e la mente dei due osservatori rapiti. E allora: paff, ecco il colpo di genio: “E’ la vita” disse Botero “ecco qua!”. La corsa delle immagini si fermò e sullo schermo comparve un volto. Il volto di un neonato.

     “Ecco qua che è arrivato” disse con voce del tutto suadente e capace di riempire ogni cuore di gioia “eccolo il vostro …” nessuno avrebbe mai potuto accorgersi di uno sguardo istantaneo gettato sul modulo posto al centro della scrivania “… il vostro Roberto. Si chiama così non e vero? Un bel nome davvero”.

     Il prodotto voluto, sognato, preteso perfino, era lì: il volto era un poco grinzoso e la pelle olivastra, gli occhi ancora chiusi suscitarono una situazione di panico che Botero colse al volo. “ah sì, gli occhi sono azzurri, è tutto regolare. Sì, non ci sono problemi, nessun genere di problemi. Vostro figlio è sano, strutturalmente sano. Il percorso genetico è rispettato, la posterità, diciamo pure la vostra immortalità, garantita. Ecco qua …” e Botero cominciò volutamente a perdersi in un complicato rosario di parole e di dati, di cifre, di riferimenti alle analisi, di percentuali. Ma chi mai ascoltava Botero? In pochi minuti passarono anni, anni sognati e dolci, anni di vita vera e calda, anni senza pensieri e senza fatica come trasportati dal vento di primavera. E paff: il neonato aprì gli occhi e sullo schermo comparve un bimbo dal sorriso vero, quasi sornione. Capivi che guardava te e solo te. Federico e Francesca capirono.

     “Qui siamo a tre anni” annunciò Botero senza il minimo di enfasi “tre anni. Solo il volto purtroppo. Naturalmente si potrebbe anche dare l’immagine complessiva del corpo in 3D, ma andiamo un po’ a rischio di errore, poi i costi … Qui l’approssimazione è al novantacinque per cento. Però il corpo è del tutto normale, quindi bello direi, proporzionato ecco…” e sul monitor comparve in sovraimpressione una strisciata di cifre che dovevano essere presumibilmente tutte le misure corporee di Roberto a tre anni. Si misero in moto senza che Federico e Francesca potessero leggere, meditare, pensare. Paff, paff e paff!

     “Eccolo il vostro Roberto a cinque … sette … dieci anni. Problemi per ora nessuno …”

     “Dio, come è bello” disse Francesca rapita.

     “Ma scusi, dottore” ansimò Federico preso da un nodo alla gola “cosa vuol dire per ora nessun problema?”.

     “Semplice: vuol dire che a dieci anni qualche problema c’è. C’è, verosimilmente un piccolo intervento: una appendicite, tutto qui e niente di più”. Botero richiamò il complessivo dei dati sullo schermo. “Sì, un’appendicite, un intervento irrisorio: normale, statisticamente normale …”. Soppesò le parole: “Poi, ecco qui: a undici anni bisognerà procedere alla ginnastica correttiva della colonna. Una scogliosi, un fastidio, niente di più. Anzi, in prospettiva un beneficio, sicuramente. Roberto ha il fisico di un atleta. Probabilmente è un impegno di uno due anni; poi tutto a posto”. Sollievo, legittimo orgoglio, tutto in ordine, tutto passato.

E dodici e tredici e quindici e … clik, clik, clik! 

     “Ecco, eccolo qui il problema, caro Federico, cara Francesca, cari amici. Il problema c’è, a sedici anni però. Niente di grave naturalmente, niente di grave. Ma il problema c’è: lo vedete, sì”.

     Federico e Francesca strizzarono gli occhi sul volto di un bel giovane di ventidue anni.  Un volto cresciuto e tuttavia acerbo, un volto ancora infantile segnato da un profondo rossore sulle gote e sulla fronte. “Ecco, lo vedete? Si tratta di un problema cutaneo: l’età vera della crescita, uno sfogo di origine psicosomatica; niente di più. Visita dermatologica, farmaci, dieta e il vostra Roberto tornerà a sorridere, ecco …”. In effetti era proprio così: clik!. A diciassette anni il rossore del volto era definitivamente scomparso e l’incertezza dello sguardo, il turbamento, aveva lasciato spazio al sorriso. L’immagine virtuale del figlio tanto desiderato, voluto, preteso, si offriva piena di gratitudine ai suoi genitori. “Dio che bello!” disse Francesca. “Tutto a posto, dottore?”. Domandò Federico un po’ sospettoso. “Ma certo, tutto a posto”,

E clik e clik e clik, avanti col tempo, avanti con gli anni. Il tempo passava: venti e ventuno, ventidue e ventitré. Venticinque. “Eccolo, il vero problema, eccolo qui”. Botero si fece studiatamente pensoso, incerto, corrucciato. E fu lo scoramento, il panico, l’angoscia indicibile. Ci fu il silenzio e l’attesa che Botero aveva previsto, voluto e sapeva amministrare.

     “Sì, ma cosa succede, dottore, cosa succede a … a venticinque …”.

     “A venticinque anni?” completò Botero con una olimpica serenità professionale. “A venticinque anni succede, perché non dirlo, che Roberto un malanno davvero ce l’ha, un serio malanno. Qui c’è un bel trapianto da fare”.

     “Un trapianto? … Ma, scusi dottore, vogliamo scherzare? E lei lo dice così: un bel trapianto! Ma come? Qui non se ne fa niente, neanche parlarne”. Federico era la corda di un violino, Francesca paralizzata, Botero pronto alla bordata e sicuro di sé.

     “Ma che diamine amici! Il fegato, sì. Ma dove sta il dramma? Un intervento ambulatoriale ormai, un po’ costoso magari …”

     “Dove sta il dramma? Il dramma sta, caro dottore, che qui il fegato ce lo dobbiamo avere noi. Non è vero Francesca? Qui ci vuole del fegato a prendersi questa responsabilità, altro che! Insomma, ma le apre che io, che noi … e poi che garanzie abbiamo …”.

     Botero aspettava la nuova bordata, virò e andò dritto allo speronamento. “Ma tutte le garanzie: tutte. E’ già tutto qui: tempi, dati, analisi, compatibilità, costi. Si prenota l’organo, si firmano tre moduli, si da un piccolo anticipo e via. Il problema è già superato adesso: cinque minuti. Oppure le cose le lasciamo andare a casaccio, senz’ordine, senza programma e allora davvero sì, senza responsabilità”. Poi attese l’effetto dell’inversione di rotta. 

     “E’ qui che ci si ferma?” disse guardando diritto negli occhi Francesca come se Federico fosse un fastidioso ectoplasma “Ci si ferma qui? Come poi se fosse colpa del vostro Roberto? Questo e un fatto genetico, lui è vostro figlio, no? E allora è così. Qui il quadro è completo, preciso e a prova di errore e su questi dati siamo ormai certi, per fortuna, certi. E poi credete che sia così raro? Ma succede un caso su tre, su due direi. Procedura, routine, nulla di più” non diede neppure il tempo di respirare “Certo se volete si può soprassedere: Roberto non è strutturalmente pregiudicato … ma alle epatiti non ci pensate? Oppure ci deve pensare lui, poverino? Non facciamo il trapianto, d’accordo, ma ecco fate bene attenzione …”. Senza dar tregua Botero suonò la tastiera del computer come un’orchestra sinfonica e sprigionò luci, immagini, diagrammi, dominò dati e tabelle fece apparire e scomparire ossa e volti, occhi, sguardi, sorrisi, persino sospiri “Ecco: lo vedete quest’uomo di trent’anni?” e comparve un volto affilato, emaciato quasi, senza sorriso o meglio con un sorriso contorto, innaturale. E fu un nodo alla gola, una pena infinita … 

     “E questo lo vedete?” 

     “Dio che bello” avrebbe detto Francesca se avesse avuto la lingua libera dalla paralisi   

     “Lo vedete, sì?”.

Comparve il volto radioso di un giovane pieno di vita, di voglia, di ansia di esistere perché appagato dell’esistenza e Botero seppe di avere passato il Capo Horn del colloquio. Ma non gli bastava, voleva concludere senza più intoppi. 

    “Ve lo vedete quel povero Roberto afflitto da un fegato capriccioso, ve lo vedete al comando di una astronave o ad inaugurare una personale alla National Gallery?”. Poi attese l’inevitabile.

     E vi fu come uno sbandamento, una scossa, un sussulto, un deglutire isterico.

     “Il comando di … la personale … National Gallery!”, ma erano parole sconnesse, un balbettare infantile”.

     Niente paura! Botero sa benissimo quello che fa. 

     “Ah! Certo voi non lo sapete, sicuramente. Siete tra i primi, ma si capisce. Ecco: è sola da due mesi che il programma è operativo. Formalmente operativo, sì, ma del tutto sicuro; saranno una decina di anni che è testato …”

     “Dottore, la prego” implorò Federico che non riusciva a riprendere quota e veleggiava nel vuoto “Dottore!…”.

     “ Ma certo, chiedo scusa: E’ semplice possiamo stabilire ormai con un grado di certezza, diciamo al novantasei per cento, l’insieme di opportunità dei nascituri. Non sto a dirvela tutta, ma in termini essenziali è un incrocio di dati tra i programmi di sviluppo del governo, i dati genetici del quoziente mentale nelle varie fasi di sviluppo, le previsioni ambientali, sociali e psichiche. Un programma complesso, ma funzione. Funziona benissimo”.

     “Ma allora, dottore, allora noi possiamo … ma è fantastico, Federico, non ti pare?” esultò Francesca uscita d’improvviso dalla sua paralisi “ci pensi? Nostro figlio, il nostro Roberto … un astronauta, esploratore, pioniere dello spazio; oppure … oppure artista di fama mondiale …”.

    Botero: “Sì, assolutamente fantastico e scientificamente corretto. Qui tenuto conto delle prospettive di sviluppo dell’intero sistema paese, dei dati sulla programmazione educativa, dei processi diinnovazione didattica e pedagogica, delle accelerazioni del nuovo cognitivismo nei prossimi trenta quarant’anni, del quoziente di intelligenza del nascituro, della sua struttura genetica, delle tendenze evolutive del DNA, della vostra condizione sociale e ambientale, del tipo di struttura affettiva che vi caratterizza e che caratterizzerà  la struttura affettiva della famiglia, e cosi via, insomma qui” Botero manovrò la tastiera, guardo, calcolò, scorse il fascicolo sulla scrivania “qui, vostro figlio o sarà ingegnere astronautico, o pittore, non c’è scampo. Ai livelli medio alti però, anzi alti, direi”.

     “Incredibile!” esclamò Federico del tutto rapito da un’onda incontrollabile di immagini, pensieri, emozioni “Incredibile, davvero incredibile” e sentì che l’onda saliva, vaporosa, calda, piena di luce. Che fosse l’istante più bello della sua vita? Perché no?

     “Incredibile, amici miei, incredibile ma vero. Può sembrare un sogno, lo so, ma invece è realtà e, nel vostro fortunato caso, garanzia di successo, di gratificazione vera, di una posterità luminosa, Vi faccio i miei complimenti: la vostra scelta è giusta, nei modi e nei tempi”. Botero aveva condotto in porto la sua nave, raggiunto la meta. La storia di quel colloquio era finita.

     “Allora per il trapianto cosa facciamo?”

     Ma Federico era perso: “Astronauta … la National Gallery … un pittore, successo e successi! Ma pensa un po’ tu!” sbocconcellava inebetito “una personale alla National Gallery … pensa un po’, un comando là tra le stelle …”.

     “E allora Federico, su dì un po’ qualcosa la dottore! Il trapianto Fede, il trapianto”.

     “Va bene, va bene” non voleva essere turbato nei suoi pensieri, non ora.

“Le mie congratulazioni papà, le mie congratulazioni a tutti e due: la posterità è garantita” Botero aveva raggiunto la meta in nome di tutta l’umanità.

Finito. Più messun problema: routine. Botero snocciolò, con tono anodino e del tutto burocratico, il suo rosario. “Qualche problema al cuoio capelluto a ventotto anni. La solita cura oculistica preventiva a trenta, poi a quaranta una buona risistemazione generale alla bocca: è un punto delicato di Roberto, abbiamo già avuto problemi in passato. Poi vedo qui che a cinquantasette anni si parte con la chirurgia estetica e l’ingeneria molecolare di ringiovanimento. Saltiamo ai sessanta per la terapia intensiva anti invecchiamento. Per veder un principio di Parkinson dobbiamo aspettare gli ottantaquattro, ma è un’inezia: due anni di cure farmacologiche …”

     “Fratture?” chiese Federico senza grande interesse.

     “E chi può dirlo questo? Però se lei mi chiede … Insomma la struttura ossea è forte. Roberto è sano, sono come un pesce, sano come voi. Il problema, se si pone, si pone oltre ai cento, centodieci. Normale”. 

     Aveva finito.

“E poi, dottore?” chiese Francesca curiosa, ma ornai non più inquieta.

     “Poi niente. Il programma si chiude e oltre i centoventi non si va più. Finito! Il nostro servizio di promozione e garanzia della posterità finisce qui. Io dati non ne ho più”.

     Federico parve scosso ancora dal sospetto. “E perché, se è lecito?”.

     “Ah questo non me lo chieda, il perché non lo so e mi piacerebbe saperlo. Qui c’è un codice che chiude il programma e la banca dati. Naturalmente è così per tutti. E’ una procedura. Si chiama Tutela psichica del consumatore, una cosa, io credo, come la vecchia tutela della privacy, del tutto inutile secondo me, ma è così. Un problema politico, una direttiva del Governo, una convenzione internazionale, chilo sa? … ”.

     Ma sì! Del tutto normale, anzi ovvio. Inutile: burocrazia!

     Si era giunti alla pausa rituale. Botero spense il monitor, si alzò raccolse in ordine i moduli e le carte, si ricompose nel suo camice bianco. 

     “Voi adesso mi aspettate qui un attimo, che faccio fare due conti e torno subito. Un attimo solo, scusate”. Scomparve ma Federico e Francesca non ne sentirono la mancanza; era di troppo.

Cosa si dissero Francesca e Federico in quel breve istante estraneo alla normali misurazione del tempo, scriverlo non si può, ma lo sappiamo tutti. Parlarono con gli sguardi, con le dita di mani che si stringevano e si carezzavano; fu un viaggio senza meta pieno di vento e di sole in una immensa distesa azzurra senza né stagioni, né notti, né giorni, senza confini temporali. Sognarono stelle luminose, pianeti fantastici, quadri e gallerie, musei, ammirarono la magia cromatica delle tele che annunciavano l’immortalità dell’artista per il tempo a venire. La loro stessa immortalità. Mai vi fu un viaggio di conquista così denso di vita organica, una danza di cellule così creativa, un materializzarsi istantaneo della creazione … Ma basta così.

Botero rientrò con un faldone sotto il braccio e un foglietto in mano, la testa piegata, gli occhiali puntati. “Ecco: come prevedevo” disse con legittimo orgoglio “ come prevedevo: il trapianto incide per meno del venti per cento. Sono duemiliardisettecentosetttantaquattro mila Euro. Ecco qua”.

     “Due-milirdi-settecento-settantaquttro-mila-Euro!…”

     Il soffitto dello studio del dottor Botero si staccò dalle pareti per rovinare con un immenso frastuono, anzi caddero giù tutti i quindici piani del palazzo in un colpo solo. Francesca e Federico scomparvero sepolti da milioni, miliardi di metri cubi di cemento armato e lo stesso Botero si preoccupò davvero di un irreversibile stato catatonico del futuro padre. Un solo istante, un istante e niente di più.

    “Sì, è tutto calcolato al centesimo e a prova di errore. Questo è il prezzo delle immortalità. La garanzia assoluta della posterità” lavorava come un timbro automatico, un maglio, una pressa senza dare adito al minimo sospiro, pensiero, riflessione. 

     “Il calcolo avviane in relazione al vostro reddito e, se questo può consolarvi, per il vostro Roberto, quando verrà il momento e se verrà, sarà anche di più visto il suo inevitabile successo professionale. E’ tutto calcolato: gestazione, parto, assistenza psichiatrica, la nuova casa con la sua stanza prima, poi il suo appartamento; le spese scolastiche incidono per il diciassette per cento fino a tutto il ciclo che gli è dovuto; quelle mediche: terapie preventive, assistenza psicologica, interventi straordinari, per il quarantatré per cento. E’ tutto scritto qui, preciso al centesimo. Preciso e anche giusto. Dovuto. Tutto il resto è la normale attrezzatura tecnica e strumentale di un cittadino del vostro rango e del suo talento, il vostro talento genetico se così si può dire”. 

     Botero non si fermò neppure per un istante, non diede e non poteva dare spazio. Si deve fare così. “Del resto” continuò con forza crescente “questa è la società del talento e del merito, la democrazia vera e finalmente compiuta. Vogliamo metterlo in discussione? O vogliamo ripiombare nell’incertezza, nell’inquietudine, affrontare il rischio della disgregazione, porre a rischio la garanzia di posterità riversando sulle generazioni future le responsabilità che ci competono? Occorre chiarezza, cari amici, chiarezza e senso di responsabilità. Del resto perché stupirsi: lo sapevate. Le quotazioni sono pubbliche e ufficiali, gli andamenti della quotazioni stabili, le variazioni percentuali, inezie. La vostra assicurazione l’avete. come dovuto e previsto. L’integrazione è possibile e i sacrifici, lasciatemelo dire, sono necessari, educativi, dovuti anche questi, Qui di errori non ce ne sono: ci mancherebbe altro! Certo io a volte penso che vi sia un limite nel processo di persuasione, coinvolgimento e partecipazione a questa procedura centrale della nostra esistenza e del nostro edificio sociale … sì lo dico e lo penso. Non crediate che sia la prima volta; magari! No il limite c’è e sarà prima o poi corretto. Ma questo limite è dentro, dentro di voi, di noi; il problema finanziario è marginale, irrilevante direi. Ma come possiamo pretendere, dico io, che gente di sessanta, settanta, ottant’anni sia pronta per un passo così delicato? Io lo dico, ma … Poi, del resto, tutto va bene, fila via liscio a prova di errore. Reclami zero. Sono tutti contenti e tutto funziona. La posterità, che dico, l’immortalità è garantita e sarà così per milioni e milioni di anni in un processo evolutivo formidabile, controllato, sicuro, al quale anche voi parteciperete perché alla immortalità non vi sono alternative. Ma ditemi: per voi non è stato lo stesso? Certo i costi del progetto e dei programmi aumentano in ragione degli investimenti, ma i risultati? Garanzia, sicurezza, crescita, continue conquiste, continui traguardi, continue vittorie. Sono i doni inattesi e divini della tecnologia e dell’intelligenza: tutta la nostra storia, la storia dell’umanità, della civiltà … storia biologica, culturale, programmi e programmi dei programmi. Una linea retta, irrversibile: il disegno della natura e della provvidenza insieme. E’ la vita che cresce oltre i suoi stessi confini, la specie che si rafforza e attraversa i millenni, scavalca gli ostacoli del tempo. Sì, è la nostra, la vostra grande avventura: un viaggio luminoso sospinto dal vento e del sole. E che mai avremmo potuto sperare di meglio, che volere di più?”

     Aveva finito, girato l’angolo, chiuso. Macerie, putrelle d’acciaio, calcinacci si erano levati in volo liberando Francesca e Federico dal peso che li schiacciava. Erano andati su, tornati al loro pasto e l’intero edificio aveva ripreso la sua imponente stabilità. Una fortezza incrollabile come la fede che l’aveva costruita. La fortezza del Consultorio genetico per la garanzia della posterità.

     Non c’era altro da dire. Botero scivolò via con tono burocratico, dimesso, impersonale e scostante. 

     “Naturalmente, sia ben chiaro, offriamo alternative. I laboratori lavorano; abbiamo fior di geni pre-parati, pre-disposti, ovuli trattati al meglio. Miracoli. Abbiamo organismi biologicamente modificati che sono eccellenti e non pongono proprio nessun problema. Nessuno. Qui i costi medici si azzerano quasi e la garanzia di posterità, nel caso vostro, si dimezza in termini di impegno economico. Però non li vuole quasi nessuno e io mi chiedo che senso abbia … e sapete perché? Perché siamo noi che ce la dobbiamo fare e ce la stiamo facendo, noi soli. Però voi, se volete … comunque è mio dovere … però mi chiedo che senso abbia andare come in passato alla cieca, a rischio e in solitudine, mah! In fondo è un inquinamento del progetto e del mercato, una sorta di concorrenza anomale, devastante … Naturalmente il dibattito c’è, eccome! Non crediate … e io sto dalla parte giusta. In ogni caso … se volete chiudere la porta al futuro e procedere in via … insomma in via tradizionale … allora … insomma è un probella vostro”. 

     Botero si era allontanato nei suoi pensieri ed era l’unico errore professionale di tutto il colloquio. Grave perché ci ricadeva in modo costante, ma grave solo per lui; per gli altri impercettibile. Era il suo maledetto errore, ma solo lui poteva permetterselo, Ci fu una pausa vuota di senso … “In ogni caso il tempo accordato per vostra decisione, vediamo … sì: la domanda era del venerdì del 22  di … sì, l’opzione scade sabato alle tre. Persa questa occasione … Comunque io sono il vostro interlocutore, sono di turno e avremo tutto il tempo di parlarne. Per ora tocca voi riflettere …”. Ci furono i saluti di rito.

Federico e Francesca camminarono in silenzio lungo il viale coperto di verde e di foglie sudate. Lei lo scrutava come si cerca un faro nella notte al limite dell’orizzonte. Lui seguiva una rotta in solitario, parallela a tutti i tempi del mondo.

     Il clima non giovava. Il cielo si era caricato di nubi e l’afa di quel 23 luglio saturava l’aria, la pelle e i polmoni. Prometteva lo scroscio. Come ai tropici quando il cielo si copre e ti riempie di malinconia. Camminarono, chi lo sa, per un chilometro o due aspettando l’evento liberatore di un acquazzone. Cammina e cammina…

    “Fede… e allora?”.

     “Cristo santo! Un gran casino Francesca, amore mio. Comincio quasi a pensare che non siamo davvero maturi … Che si fa?”. 

     Ma la decisone, per chi ha conosciuto Francesca e Fedrico era scontata e Botero lo sapeva benissimo; ne conosceva le più profonde, le più remote ragioni. 

    “ Senti Francesca: io penso che … che ce la possiamo cavare anche da soli io, tu e … e Roberto. Tu che ne pensi? Affidiamoci alla tradizione …”

    “No, caro Fede, affidiamoci al nostro amore! Il futuro di Roberto è tutti lì”

“Ma certo, amore mio! È tutto lì. Il Consultorio, Botero … e chi se ne frega!”

     Ci fu una stretta di mano, anzi di cuore, intensa e profonda. Sapevano che avrebbe conquistato da soli la loro immortalità. Roberto fu il primo a saperlo.

     Lo conoscete bene, non c’è altro che chiederlo a lui.