Le più recenti ricerche sul culto della dea Gamér
Gli Assua furono, con ogni probabilità, una popolazione medio orientale della cui esistenza ci da notizia una edizione tardiva dell’Avesta che proprio Berto Maror, massimo esperto in filologia iranica, ha riportato alla luce qualche anno fa in occasione dell’analisi di un fondo di papiri copti persi in un luogo dell’Etiopia di cui si continua celare il nome. Pochi frammenti e difficili da interpretare. Si avanza l’ipotesi che questa tribù iranica di epoca preachemenide abbia in qualche modo costituito il nucleo originario delle cultura dell’altipiano, là dove le vette più alte delle montagne e i deserti che le circondano, non hanno mai favorito stabili insediamenti umani.
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Inutile dirlo: degli Assua, o meglio della cultura Assua, nessuno ha mai sentito parlare. Neppure etnografi e antropologi ne sanno nulla a meno che non siano capitati, e per puro caso, sul saggio di Berto Maror che, di questi dubbi antenati, ci lascia una sottile e fragile traccia. Un saggio di poche pagine, faticoso nella sua erudizione, e uno dei pochi che questo studioso, votato da anni al silenzio e alla riservatezza, abbia prodotto nel corso della sua lunga vita di ricercatore. Quel che degli Assua ora sappiamo lasciamolo dunque dire a lui e scopriremo che il suo lavoro potrà forse aprire nuove e originali piste di ricerca. Magari, se adeguatamente trattata, la sua scoperta potrà un giorno divenire di generale interesse.
Gli Assua furono, con ogni probabilità, una popolazione medio orientale della cui esistenza ci da notizia una edizione tardiva dell’Avesta, che proprio Maror ha riportato alla luce qualche anno fa in occasione dell’analisi di un fondo di papiri copti persi in un luogo dell’Etiopia di cui si continua celare il nome. Pochi frammenti e difficili da interpretare. Si avanza l’ipotesi che questa tribù iranica di epoca preachemenide abbia in qualche modo costituito il nucleo originario delle cultura dell’altopiano, là dove le vette più alte delle montagne e i deserti che le circondano, non hanno mai favorito stabili insediamenti umani. Gli Assua sarebbero vissuti e si sarebbero estinti nel giro di poche generazioni tra 900 e 700 anni prima della nostra era. Facevano parte delle prime ondate migratorie degli indoeuropei? Non sembra essere questo l’interesse di Maror. L’originalità del lavoro di ricerca sta altrove, è per palati fini e si volge ai problemi di analisi della mitologia come fondamento dell’esperienza religiosa e rituale di quel tempo remoto. Il saggio è dedicato interamente al culto della dea Gamér che costituisce appunto una scoperta e una conturbante novità nel panorama degli studi del settore.
L’analisi fenomenologica messa in piedi su pochi frammenti ci restituisce una storia che scivola nel mistero e un mistero che svela un aspetto dell’animo umano e delle culture precristiane di inattesa forza. Maror propone dunque un nuovo tassello dell’esperienza interiore che battezza “la religione dell’ultimo raggio”. Ecco il tutto e in breve sequenza.
Gamér parola che sembra significare in lingua Assua “novità del tramonto”, “nascita del tramonto” o “ciò che arriva da ultimo”, forse “fine che si svuota”, è una divinità il cui compito sembra essere quello di congiungere il giorno con la notte o la luce col buio in una particolare e statica dimensione del tempo. Il passaggio tra giorno e notte, con tutto quanto di traumatico e simbolico ha in sé, qui costituisce la chiave di funzionamento del mondo della natura e dell’intero universo. Il tramonto diviene cosi un evento fondante nella cultura e nella cosmogonia Assua. Insomma, in questa originale ed esclusiva mitologia cosmica, il mondo avrebbe preso forma non già al sorgere della luce, ma ai confini della notte e allo scomparire del mondo stesso: nell’istante della sua morte. Un rovesciamento rispetto a tutte le strutture mitiche a noi note. Più precisamente, secondo Maror, per la cultura Assua il tramonto, inteso come una particolare dimensione della temporalità, si configura come una temporalità “sospesa” e una forma di energia vitale in grado di rigenerare l’universo nella stesso istante in cui il silenzio e i terrori della notte lo minacciano di estinzione. La personificazione di questa zona remota e celata della temporalità è Gamér. Gamér è un dea femminile e, come ogni forma divina, non ha età anche se nella rappresentazione poetica si mostra fanciulla, minuta nella sua forma e dotata di una prepotente sensualità. Il culto di Gamér sembra infatti possedere anche una forte componente erotica: Gamér non è in grado di dare la vita, ma di trasmettere un forza misteriosa che la tutela rispetto al processo di degenerazione e consunzione biologica che ne fissa un limite invalicabile. Anche qui un radicale rovesciamento rispetto a tutti i paradigmi delle mitografie a noi note: non è una dea della vita, ma una dea della non-morte. Essa interviene all’ultimo raggio di sole per correggere il processo di decadimento del tempo e del cosmo: sospende le azioni combinate della natura volte a far scivolare la luce, in quanto simbolo della vita, nel buio della morte. Per questo viene adorata al tramonto; si materializza e diviene presente rilasciando le sue forze magiche sull’ultimo raggio del sole e per questo Moror ha definito questa credenza “la religione dell’ultimo raggio”.
Vi è di più. Lo sviluppo delle azioni rituali e i frammenti di testimonianze certificherebbero che dal culto fossero fino ad un certo punto esclusi i giovani e gli adolescenti; anzi un vero tabù sembra vietare la loro presenza ai riti di iniziazione e di partecipazione orgiastica. La “religione dell’ultimo raggio” era infatti destinata a tutti coloro realmente minacciati dal tempo nella loro integrità biopsichica, insomma ai vecchi. Naturalmente l’assunto di tipo materialistico è marginale: la vecchiaia fisica è un metafora. Gamér è una dea del dialogo, della fascinazione e della partecipazione delle passioni. Riscalda i cuori e li rafforza, ma non solo e non tanto sotto il profilo naturalistico. La forza della non-morte è innanzitutto quella del pensiero, della saggezza e del piacere della conoscenza. La rigenerazione della vita sembra realizzarsi così in uno scambio di pensieri e di attenzioni, insomma in una scambio intellettuale. In questo senso, e solo in questo, la vita vince la morte, sospende il tempo e impedisce il sopraggiungere della notte. Tuttavia secondo il nostro autore, proprio questo modello culturale e la conseguente pratica rituale, avrebbe reso gli Assua una popolazione particolare con capacità di invecchiamento molto lente e graduali nel tempo. Gamér, con la sua funzione e la sua prorompente forza, avrebbe assicurato agli Assua una superiorità e quasi un vantaggio genetico rispetto alle altre popolazioni dell’area. E proprio questo vantaggio si sarebbe poi rivelato, secondo Maror, fatale sino a svolgere una funzione distruttiva dell’intero gruppo e della sua cultura. Un anello di retroazione del sistema e una funzione di azzeramento. L’idolatria per la divina fanciulla, l’ossessivo desiderio di renderla esclusiva e di proteggere il rito del possesso di lei restringendolo ad un numero sempre più vecchio e limitato di fedeli avrebbe infatti creato ragioni di scisma e guerre di religione in seno al gruppo. Perso il segreto della non-morte, gli Assua si sarebbero autodistrutti in poche generazioni, facendo scomparire la magia della dea e la dea stessa e i suoi misteriosi benefici dal mondo intero. Una medicina della vita, e una cultura, definitivamente perduta.
Più o meno, e in estrema sintesi, le rivelazioni della “religione dell’ultimo raggio” sono queste. Per saperne di più occorre armarsi di impegno e di tempo per leggere con estrema attenzione, studiare, il testo e l’apparato davvero ingombrante di note e riferimenti.
Ma la storia non finisce qui. Ogni storia che sembra dotata di una sua perfetta autonomia, in realtà ne richiama altre e con altre si intreccia dando luogo a quella trama di significati che ci circonda, ci possiede ed è il palinsesto della nostra stessa esistenza.
I pochi amici di Moror dicono che da quando ha dato alle stampe il suo lavoro qualcosa in lui è mutato. Schivo e riservato, ora è divenuto addirittura sfuggente. Pare distratto, immerso in pensieri che non gradisce comunicare. Si isola sempre di più e ogni volta che si trova, nel tardo pomeriggio, a parlare con qualcuno o seduto al bar con un gruppo di amici, a un certo punto si agita, guarda l’orologio e, più o meno sempre alla stessa ora, dichiara un appuntamento che non può mancare e scappa via senza troppi complimenti e giustificazioni. Dicono che, di buon passo, si reca al sommo di quella collina dalla quale si vede tutto l’arco possente delle montagne che chiudono la pianura e offrono tramonti stupendi. Dicono appunto che va lì a godersi, tutte le sere, il tramonto e fa ritorno qualche ora dopo quando il cielo si è spento e le luci si sono accese. Sempre così, da mesi ormai. Che sia andato di testa?
L’’ultima volta che lo ho visto, ho rotto gli indugi e trovato il coraggio: “Di un po’, vecchio mio, ma e vero che tutte le sere, tutte le sere, vai a vedere il tramonto da solo?”.
“Sì, certo. E che male c’è?”. “Francamente nessuno salvo un po’ di ossessività. Ma qui dicono che tutto succede da quando hai scoperto la religione dell’ultimo raggio. Non vorrei che ti sia fatto suggestionare dalle storia che proprio tu hai scoperto e raccontato. Non sarà mica che vai lì ad aspettare le tua … la tua dea … la …”. “Gamér?”. “Appunto”. “Ma vuoi scherzare. Cosa dici? Gamér è una creatura della mente, porta fuori quello che tu hai dentro di te. Non esiste e non è mai esistita, ma … ma insomma … ti tiene compagnia. Ecco tutto”. “Bene” dico io “ e ora facciamoci un buon aperitivo, vuoi?”. Ma lui ha guardato l’orologio con ansia, ha girato i tacchi e senza salutarmi corre, corre via come un podista. Tra poco sarà l’ora del tramonto.
“Aspetta, aspetta!”, gli grido.
“Non posso, non posso!”.