una giornata ben ordinata – racconto di Natale 2083

Il professor Taglietti mosse appena le dita intorpidite e prigioniere di un sonno agitato, respirò profondo liberandosi dalle coperte e avvertì il ticchettare dell’orologio: gli parve un suono remoto e lugubre come il tocco della pendola della nonna a Trecate per lui così doloroso nell’attesa del sonno. Continuò per un attimo a navigare nel vuoto … E’ così. Nell’ora del risveglio, specie per effetto di un sogno, il tempo non riaffiora immediato. Il tempo istantaneo del risveglio è come una laguna: si distende e affonda senza ritmo, senza correnti, né l’orologio biologico, né i secondi, i minuti le ore lo possono misurare. 

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Quella notte il professor Luca Taglietti fece un sogno penoso, generatore di ansie e di progressivo, opprimente malessere che al fine lo risvegliò. 

     Gli parve di essere immerso, anzi di galleggiare, in un mondo umido e denso di nebbie, un universo privo di suoni come sovrastato da nuvole pesanti che si addensavano e lo trascinavano giù, gli pesavano addosso. In quella atmosfera innaturale e senza confini gli parve che fluttuassero oggetti a tutta prima indecifrabili: ombre, profili, linee appena tracciate che subito si scomponevano come inghiottite da luci insorgenti. Poi, a poco a poco, passando per metamorfosi allo stato liquido e solido, gli oggetti si andavano definendo, comparivano e scomparivano come visti dal finestrino di un treno ad alta velocità: erano sedie, tavoli, casseruole e stoviglie, quadri persino e libri, libri ammucchiati, cataste di libri e poi ancora un televisore, una bianca lavastoviglie, una pendola, un forno a microonde, un albero di natale… e via e via, ancora e ancora … Gli parve poi di poterli toccare e allungò la mano incerto e timoroso. Li voleva toccare, ma gli oggetti scorrevano sotto le sue dite senza che potesse afferrarli come se fossero illusioni ottiche, ologrammi in perenne irreale movimento. Qualcuno di quegli oggetti Luca lo riconobbe, gli era familiare, intimamente familiare, gli apparteneva. O meglio apparteneva ai suoi ricordi, alle profondità della sua memoria, a un passato remoto che per incanto resuscitava e anzi esplodeva dentro di lui, gli dava stupore, ansia e l’ansia si trasformava in inquietudine, oppressione. Sì, gli oggetti, quegli interminabili oggetti erano di una sostanza vibrante come energia: erano ricordi in libera associazione mossi a passo di danza, frantumi di tempo in ricomposizione. Poi le nuvole andavano giù; non erano nuvole ma semplicemente fumo, schiuma di ore, minuti e secondi, vapore difficile da respirare. A mano a mano che le nebbie si diradavano e che gli oggetti si materializzavano in una fissità corporea ben definita, il professor Taglietti ebbe la certezza, e l’infinita sorpresa, di trovarsi in un immenso magazzino, un deposito e forse il deposito di un grande centro commerciale nel quale, ne era certo, si sarebbe perduto senza più trovare via d’uscita o scampo. Ma l’angoscia dell’inatteso non prese subito il sopravvento. 

     Si chiese con ansia quando mai vi fosse entrato, per quale strada e per quale ragione e in che giorno o tempo o stagione. Perché? Percepì allora che la domanda generasse da sé la risposta e la risposta fosse così ovvia, tanto certa e indiscutibile, che il professor  Luca fu ancor più smarrito e confuso. Perché sapeva, intimamente sapeva, che tra quegli infiniti oggetti lui c’era sempre stato, non era mai arrivato lì, semplicemente si era sempre aggirato lì. E ora, anche di questo era certo, aveva perso il senso d’orientamento; i percorsi abituali e naturali che sempre aveva battuto, non avevano più alcuna logica; la ragione stessa della sua strada, del fatto di essere lì si era smarrita in un labirinto irrazionale senza vie d’uscita. Sì devo, devo farcela, è naturale  è lì, lì più avanti, avanti così, si disse Bernardo, la strada è quella. 

     Vide da prima il corridoio, poi il fondo della stanza e vide esattamente i mobili e gli oggetti tutti disposti come lo erano sempre stati nella casa della su adolescenza in via Mazzini a Novara, percepì ombre lontanissime che li avviluppavano, poi vide davanti a sé la porta dello studio di rue Brancion a Parigi abitato mille e mille anni prima, poi la veranda della casa di Capodistria percorsa tante volte nei sogni infantili. 

     Vide il camino della casa sul lago d’Orta  con i guizzi di fiamma che appena illuminavano la credenza e il divano, e vide, anzi udì composta in un suono indistinto, la presenza delle pareti bianche della stanza alla Maison de l’Italie, sentì il velluto delle poltrone dell’hotel Raphael illuminato dal rumore degli abituali avventori di un tempo scomparso, ma che incombevano si accostavano e insorgevano partorendo, con convulsioni mostruose, gli oggetti, tutti gli oggetti che avevano abitato i luoghi estremi della sua vita … erano lì, eccoli lì … eccoli qui tutti gli oggetti del mondo… e adesso come faccio? Che fare? E come? Le domande che Luca cercava di articolare a chi mai erano rivolte? A chi mai posso parlare? E poi parlare perché? 

     Il problema che sfondò come un colpo di ariete il cuore ormai in tumulto del professore era già un altro. Come salvare quegli oggetti, recuperarli, restituirli alla vita dei luoghi che avevano abitato, portarli via da lì. E perché mai erano lì? Come accarezzarli, sentirne l’odore? La porta! Non c’era che la porta, l’unica porta d’uscita: era proprio lì davanti; la conosceva, l’aveva mai vista? E gli oggetti, tutti quegli oggetti sarebbero poi passati di lì? Ma non era una porta era solo un tratto nuovo del cammino; la porta non c’era. Piuttosto avvertì che era la temperatura, l’atmosfera stessa a cambiare: cambiava la latitudine e il tempo, non il paesaggio; e il paesaggio a poco a poco si spegneva nel buio e non era buio, era… aiutatemi a dire, era… vuoto. Si affacciò in equilibrio precario. Senti allora la vertigine di una immensa profondità e come una sorta di attrazione, una violenza di vita che stava per sopraffarlo, sentì le voci della stanza accanto che divenivano un formidabile frastuono: “dorme?”- “No!”- “Ma sì che dorme”- “Allora vai a vedere”. Sapeva che quelle voci pur così lontane parlavano di lui ed erano generate da lui sotto il suo diaframma, sentì i passi che si avvicinavano, il vuoto denso delle nubi nere che non gli consentiva più di respirare, tentò di svincolarsi, di tirarsi su, di non scendere ancora e ancora… e senza poter respirare, respirare e soffocare… ecco soffoco, soffoco… e si svegliò.

     Buio e silenzio. Il professor Taglietti mosse appena le dita intorpidite e prigioniere di un sonno agitato, respirò profondo liberandosi dalle coperte e avvertì il ticchettare dell’orologio: gli parve un suono remoto e lugubre come il tocco della pendola della nonna a Trecate per lui così doloroso nell’attesa del sonno. Continuò per un attimo a navigare nel vuoto … 

     E’ così. Nell’ora del risveglio, specie per effetto di un sogno, il tempo non riaffiora immediato. Il tempo istantaneo del risveglio è come una laguna: si distende e affonda senza ritmo, senza correnti, né l’orologio biologico, né i secondi, i minuti le ore lo possono misurare. Così non sappiamo quanti frammenti di eternità ci vollero perché il professor Luca Taglietti riprendesse piena coscienza di sé, sapesse dov’era, chi era e qual era la metamorfosi del trapasso alla vita reale. Poi, per continue successioni che annodavano a catena tutte le emozioni del giorno e della notte, il miracolo quotidiano dell’esistenza si compì ancora una volta. Luca guardò nel buio e il quadrante fluorescente del monitor gli comunicò che erano le 7,27, tre minuti in avanti rispetto all’ora canonica del suo mattutino risveglio. 

     Nei tre minuti che passarono Luca riprese definitivamente possesso di sé e del mondo; il letto dove si era addormentato la sera prima, la stanza nella quale stava il letto, l’esatta posizione del letto rispetto alla stanza, l’ubicazione degli altri oggetti che componevano il monolocale. La poltrona, di fronte al letto, l’armadio dietro la poltrona, poi il tavolo e la cucina davanti al tavolo, le sedie, lo scrittoio coperto di libri, l’agenda in mezzo ai libri, il foglio degli appuntamenti della giornata sopra l’agenda, la matita… dov’era la matita? Gli occhiali? erano sulla poltrona. La lampada dietro al letto, le pantofole… Quando alle 7,30 la sveglia ufficialmente suonò il professor Taglietti aveva già riordinato lo spazio del mondo e di tutti gli oggetti del suo mondo: poteva scendere dal letto, stiracchiarsi e orientarsi nel buio per varcare con prudenza la soglia del bagno. Il sogno, o forse l’incubo, lo seguì ancora fino al momento fatale della creazione: la luce. Clic, e la luce fu. Vide ancora la sua immagine nello specchio, la stessa che aveva lasciato lì la sera prima. Tutto normale, ovvio, necessario. Tutto il resto, Taglietti lo sapeva, sarebbe stata routine. Spazzolino, dentifricio, doccia, spugna, caffè, tastiera, schermo, connessione, programma … e via così: tutto previsto, tutto calcolato al millimetro (o meglio al secondo); routine.

Routine, tempo pianificato, programma giornaliero previsto? Si e no. Quel mattino del 23 dicembre gli aveva portato qualcosa di nuovo, inatteso e perturbante: il sogno misterioso degli oggetti perduti, delle ombre, dei suoni e del vuoto che a questi si accompagnavano, l’impressione di una dimensione profonda che lo avrebbe potuto inghiottire ancora, un senso di affanno e di novità, il tumulto delle voci oltre i confini del sensibile e del visibile. E quel dono imprevisto Luca lo volle tenere con sé, centellinarlo, portarselo dietro nel corso del tempo che l’arco della giornata gli avrebbe concesso. No, si disse, non me lo devo dimenticare. Lo ripercorse tutto durante le automatiche procedure del suo petit levé, poi lo fissò nella tazza di caffè che si produceva in via automatica dalla macchina e lo rivisse per un attimo nel fondo oscuro del forno che vomitava le fette tostate della prima colazione. Il sogno era lì, perfetto e inalterato nelle sue emozioni e nella sua coscienza. Bene così. Archiviato!

     Alle 8,15, come di consueto, tutte le cerimonie dell’introibo ad diem si erano concluse, la finestra si liberò automaticamente dalla saracinesca e il mondo esterno fece sgradevole irruzione in tutti gli angoli del monolocale modello S-36-Classe 6. Il cielo era bigio, il sole svogliato e ingannevole, la temperatura di 6 gradi, l’umidità del 78%. Luca guardò senza ansia il pannello di controllo sul monitor. Sarebbe piovuto dalle 10,07 alle 10,34, il sole avrebbe fatto capolino alle 11,09 fino alle 11,22, poi ancora pioggia dalle 15,21 alle 16,34, il tramonto alle 16,52, la nebbia sarebbe scesa, ma solo nel quartiere ticinese, alla 17,12, poi lì in San Siro, ancora una spruzzata di pioggia dalle 18,15 alle 19,07. Un tempo di merda! Luca richiese l’informativa sull’abbigliamento appropriato. Clic. Maglia modello 3 SL, camicia modello 7/c, pantaloni tipo aurora/12/c-s2 (Luca li odiava) maglia di copertura standard, scarpe a copertura multipla modello m.23-s41, cappello salva vento n.127 (Luca detestava i cappelli, specie quelli a ombrello retrattile incorporato). Una giornata di merda! 

Clic: il professor Taglietti chiamò sullo schermo l’agenda della giornata. Il computer rispose. Rispose e domandò.

“Buongiorno! sono le 8,45 del 23 dicembre: vuoi uscire?” clic

“sei in anticipo ti 12 minuti rispetto al programma definito alle ore 23,37 del 22 dicembre. Vuoi uscire?” clic

“sei pronto per uscire? Portafoglio, occhiali, orologio-audio, agenda, sigarette, accendino …”

Era davvero pronto?… clic

“sai cosa devi fare? Vuoi leggere l’agenda?” clic

Ricordava quasi tutto del programma definito, concordato e memorizzato la sera precedente, quasi ma non proprio tutto: clic. E uscì l’elenco di tutte le cose da fare. 

     Luca ora ricordava bene e le indicazioni gli erano famigliari, era definitivamente padrone di sé.

     L’agenda giornaliera era fitta, il programma ambizioso. Uno, due, tre… tredici impegni e tra l’altro in vari luoghi della città. Innanzi tutto il supermarket di via Morgantini qui, davanti a casa (il rituale passaggio all’edicola neppure era stato segnato); poi la presentazione del nuovo home theatre a Mediaword in Piazza Napoli e sempre lì vi erano da visionare i nuovi modelli di lavastoviglie segnalati dal CNR; poi, in Galleria, un giro alla libreria Mondadori per la presentazione del libro Programmazione, tempo e libertà del collega Chiarini; 6. la gioielleria De Van lì accanto, poi (7.) la presentazione della nuova linea d’abbigliamento per la stagione primaverile da Coin in corso Vercelli. Luca aveva previsto anche una scappata alla concessionaria Mercedes, e anche qui in tutt’altro luogo: al capo opposto della città. Al nuovo centro commerciale di via Imbonati (Utopia-market) di cui si parlava ormai da settimane avrebbe dovuto obbligatoriamente andare per incontrare Roberto (si erano ripromessi di visitarlo insieme per visionare le nuove aule didattiche Centum-NML) e 9. Alla sala dei Mercanti aveva previsto di prendere visione dei nuovi sistemi di biblioteca parlante: 10. Poi l’agenzia di viaggi: 11. La sosta per l’inaugurazione della campagna promozionale della nuova Alfaromeo al teatro degli Arcimboldi (12), mentre era rimasta in sospeso l’opportunità della conferenza del collega Recupero su “marketing come metafisica della ultramodernità” al Circolo della stampa. Di sicuro invece era programmato un salto all’Ikea per le novità del campionario natalizio: e 13. All’apparenza un programma impossibile da realizzare in poco meno di dieci/dodici ore tenuto conto degli spostamenti e dei tempi di attesa, delle soste per il pasto e il the delle cinque, degli ingorghi di traffico, delle inevitabili code e del freno costituito dal flusso dei visitatori.  Ma naturalmente vi erano impegni forti e impegni deboli e forse, lavorando bene sui tempi e sui percorsi …

     Luca chiese una ottimizzazione dei percorsi e dei tempi e … clic: in due secondi uscì il programma consigliato, ma in realtà obbligatorio. 

     Ci stava tutto ma a tempi troppo stretti, compressi. Una faticaccia! E in fondo un’utopia.     Luca sapeva bene che il sistema informativo non offriva se non vaghe possibilità nella determinazione dei flussi di presenza da parte dei visitatori nei vari luoghi. Fece due conti, determinò il grado di priorità in funzione sia delle distanze che dei tempi di permanenza nei luoghi, il tutto in relazione alle aspettative delle code di ingresso stimate e clic … si mise in attesa. Qui il tempo di elaborazione sarebbe stato per lo meno di minuti; il sistema macinava una quantità di dati sorprendente e Bernardo, ogni mattina, ne rimaneva sempre stupito, estasiato quasi. Da quando poi l’amico Fabrizio, un matematico fatto, gli aveva spiegato che il complessivo delle relazioni e funzioni del modello si aggirava intorno al milione alla quarta, Luca con i suoi programmi giornalieri giocava a mettere in difficoltà (si fa per dire!) l’intero sistema informativo. 

     Il confronto tra lui e il Prometec (PROgramma Metafunzionale Europeo Totale Esclusivo del Consumatore) era divenuto un rito, una sorta di impegno e di esercizio dell’intelligenza che lo stimolava e lo teneva vivo e vigile tutto il giorno in attesa della sera e la sera in attesa del mattino. 

Mi riferisco naturalmente al Prometec 3KW in uso nel 2033 e cioè la terza versione, che ora non esiste neppure più e che non potremmo più nemmeno caricare sulla nuova generazione dei sistemi integrali; di questo vecchio Prometec se ne parla ormai, e vagamente, nei libri di storia solo per sottolinearne il basso grado di attendibilità e di interattività, la lentezza di elaborazione e le lacunosità delle soluzioni operative che consentivano vistosi errori e scarse opzioni di ottimizzazione del tempo e dei flussi. A quel tempo il funzionamento del sistema di organizzazione e promozione del tempo giornaliero era, se così si può dire, del tutto artigianale e aritmico. 

     La sera il Prometec proponeva una serie infinita di opzioni per l’attività del giorno successivo: nel sistema confluivano i dati di migliaia e migliaia di aziende, agenzie e centri di consumo che proponevano i prodotti e le manifestazioni di promozione dei prodotti e si trattava  di una sorta di elenco infinito, un calendario giungla irto di confusioni, intrecci, repliche, scavalcamenti, incoerenze. Un labirinto temporale disorganico e praticamente impossibile da navigare. Quel che è peggio: impegnativo (e alla fine insoddisfacente) per il consumatore. 

     Cosicché per il consumatore medio (categoria alla quale possiamo iscrivere agevolmente il professor Taglietti) le sere passavano in ore e ore di analisi dei dati e di scelte confuse il più delle volte dettate dalla necessità di concludere per non sottrarre ore preziose al sonno e al riposo. 

     Si lavorava male, si lavorava in fretta e senza metodo, guidati dalle emozioni passeggere, pieni di incertezza e, per i più incerti, di inquietudine. Si lavorava male e si sceglieva peggio, all’ultimo minuto e sotto il peso del sonno incombente. Poi si caricavano le opzioni nel sistema e al mattino si doveva nuovamente lavorare per richiedere il piano operativo della giornata e l’ottimizzazione delle scelte fatte la sera in relazione ai flussi di movimento complessivi dei consumatori con risultati del tutto imprecisi. In realtà il Prometec 3KW non è mai stato in grado, nelle poche ore della notte, di incrociare i miliardi di informazioni che il libero mercato della domanda e dell’offerta generavano alla sera per il mattino, le ore giornaliere di lavoro dei consumatori sfioravano la quota proibitiva di 16/18 e tutti ricordano come alla fine il sistema sia stato messo sotto accusa (e poi cancellato) per effetto della compagne di protesta coralmente orchestrate da tutte le associazioni di tutela dei diritti dell’uomo. 

     Soprattutto il punto debole del Prometec 3 lo si misurò nel consistente incremento dello stress di intere fasce della popolazione adulta e anziana. La necessità (e la libertà) delle scelte a fronte di un’offerta così ridondante, l’imprecisione dei risultati finali, il rischio di perdite di lacune e imprevisti nell’uso del tempo, la stessa cadenza giornaliera del programma generavano una tensione i cui riflessi sociali ben conosciamo. 

     Fu poi l’incidente clamoroso e drammatico dl Lagos, che ancora oggi viene citato, ad archiviare definitivamente Prometec 3: le disfunzioni, l’ingorgo dei flussi, l’incrocio dei percorsi e dei programmi, causò un disastro urbano e si contarono morti, feriti e tumulti. Tempi passati che nessuno oserebbe rimpiangere. E tuttavia, il senso di questo racconto sta proprio qui, tuttavia…

Per il professor Luca Taglietti proprio il Prometec 3 andava benissimo, andava bene davvero per i suoi stessi difetti, gli errori, i rischi e gli imprevisti che la formulazione del programma giornaliero poteva generare in via automatica. Luca avrebbe addirittura gradito un peggior livello di funzionamento; sfidava con le più strane bizzarrie il sistema. Alla sera gli faceva violenza con gusto e poi al mattino aspettava, con attenzione rapita, gli esiti dell’attività notturna del sistema per coglierlo in fallo, poi esplorava con cura tutta la giornata che l’agenda gli offriva per valutare il grado di debolezza del sistema stesso rispetto alle sue astuzie serali nelle quali aveva esercitato opzioni apparentemente incoerenti (gamme di prodotti assolutamente diversi) e inconciliabili (tempi e luoghi proibitivi). Il tempo, il suo tempo vero, Luca lo passava così. 

     E così quei minuti di attesa del mattino erano, per Luca Taglietti, minuti preziosi e prelibati nei quali lui si abbandonava alla guida ferrea e inappellabile del sistema informativo, ne attendeva con curiosità e a volte con ansia il verdetto finale che fissava i percorsi, scandiva le ore, amministrava il suo tempo, modulava le sue emozioni e rimescolava i suoi desideri. Vi si abbandonava con la certezza del possibile errore e l’incertezza che gli pesava addosso per tutto il giorno di un possibile (e per lui auspicabile) sconvolgimento del programma, dell’imprevisto che lo avrebbe fatto trionfare sul sistema, colmarne la lacuna con un intervento personale e diretto, insomma vincere la partita quotidiana con Prometec 3. Anzi in un certo senso i suoi programmi giornalieri stavano via via divenendo una subordinata della sua sfida al sistema e potremmo dire che quel dialogo del mattino rappresentava, se non una ragione di vita, almeno una ragione del tempo. Del suo tempo assoluto, esclusivo, personale.

     Ma si dovrebbe dire di più. Quei minuti in attesa del programma della giornata ridefinito dal sistema informativo avevano una sostanza temporale specifica, alternativa e difficile da definire. Si potrebbe dire che assorbivano la totalità del tempo e il suo essere stesso, lo assorbivano nel senso che gli rendevano naturale, ovvio e semplice il correre della sua esistenza: cancellavano il ricordo delle sue precedenti esperienze, le azzeravano e ricostituivano in lui ogni giorno, e ogni ora del giorno, il pieno dominio di un mondo fatto delle 10-12 ore “di fuori”, l’unico mondo possibile, il solo controllato e governabile e del quale si potesse tenere personale memoria. 

     Era tutto lì e di lì nulla poteva sfuggire. 

     Naturalmente, noi oggi lo sappiamo, è così per tutti; tutti ci affidiamo al sistema informativo che pianifica razionalmente l’agenda quotidiana dei nostri impegni: come potrebbe essere altrimenti? Ma il professor Taglietti ad accettare questa verità e questa naturale procedura dell’esistenza ci era arrivato tardi e con fatica, controvoglia direi. All’idea di una rigida programmazione si era rassegnato solo quando gli era stato chiaro che muoversi in città senza una guida gli sarebbe stato impossibile, vietato spezzare il cerchio dell’isolamento e della riprovazione sociale; solo quando, da una certa età in poi e dopo anni di isolamento voluto e solitudine accettata, il suo vento interiore era cambiato costringendolo a uscire di casa, a prendere quotidiano contatto con la realtà, seguire insomma il programma giornaliero del consumatore medio. Perché mai questo rovesciamento si fosse verificato in lui, il professore non poteva ormai più ricordarlo e del resto non gli interessava, le sue ore negoziate con il sistema materializzavano l’eterno presente della sua vita: le 12 ore di ogni giorno fatto di dodici ore. Che desiderare di più?

     E così anche quel 23 dicembre del 2033 sarebbe scivolato via come il giorno prima e come quello successivo, e così in effetti fu. Di incidenti se ne verificarono pochi. Il programma elaborato da Propmetec 3 resse adeguatamente alle astuzie del professore. L’agenda rielaborata dal sistema rispettava più o meno le indicazioni fornite da Bernardo, offriva i tempi di permanenza, i percorsi ottimali (e i rispettivi orari al secondo), segnalava l’intensità prevista degli afflussi (i minuti delle code di attesa), aveva registrato le necessarie prenotazioni. Salvo per la conferenza di Recupero (posti non più disponibili) e per l’onerosa coda di ingresso all’Ikea (26 minuti), nulla da dire. Più o meno tutto aveva funzionato bene, tutto in ordine e nessuna alternativa. Che programma di merda! Pensò Taglietti che si sentiva battuto dal sistema su tutto il fronte. Non gli restava che verificare sul campo sperando negli imprevisti. Caricò i dati del programma sul suo orologio da polso che agiva in rete e uscì come programmato alle 9,18.

*  *  *

E di imprevisti ce ne furono pochi quel giorno. Taglietti saltò di netto la coda all’edicola sotto casa che del resto neppure aveva segnalato al sistema. Al supermarket di via Morgantini diede un’occhiata a tutti i settori (7 minuti tondi), poi si fermò sulle novità gastronomiche. Indugiò sulle nuove paste dietetiche trattate con timo e centonchio, sui filetti in crosta alla Wellington, sul Chateau Rossignol ultima specialità Barilla versione 2003 (circa 4 minuti). Il tempo maggiore (17 minuti) lo spese tutto nella ressa incredibile per la dimostrazione del menù Berlusconi-G8 un prodotto-rievocazione che illustrava e al tempo stesso le 27 portate di una cerimonia diplomatica da preparare, in versione domestica e con adeguate tecnologie, in soli trenta minuti. Nella sala perfettamente ricostruita era disposto il tavolo imbandito del celebre incontro del 2000 a Genova. I cibi erano in mostra ancora fumanti ricostruiti con materiali Enron dell’ultima generazione, i profumi erano intensi e Luca come tutti portò l’orologio all’orecchio per sentire l’audioguida che illustrava le ricette delle varie portate. 

      Qui, per la verità il professore constatò, con lancinante emozione che il sistema si era sbagliato, di poco naturalmente, ma l’errore c’era: in realtà l’audioguida concludeva il percorso in 17 minuti e non 16 come previsto e programmato da Prometec 3. Errore! I 28 minuti previsti per il supermercato scattarono e l’orologio gli segnalò che, secondo programma, la 73 lo aspetta alla fermata del vicino isolato (tempo di trasferimento a piedi 1, 55). 

      In piazza Napoli a Mediaword filò tutto liscio, anche la prenotazione per la presentazione del nuovo Home theatre della Samsung. 10 minuti e nulla di più, ma dieci minuti alla grande. 

      Il nuovo oggetto era davvero magnifico (e per la verità come ricorderete è passato alla storia dell’innovazione per il suo ardito design), possente anzi. Il bombardamento atomico di Bagdad ricco di sofisticati effetti speciali video e audio, tramortì i duecento spettatori, esaltò Taglietti (che era in quarta fila) e lo convinse circa l’opportunità di ripresentarsi il giorno dopo lo spettacolo delle ore 15. Vi furono poi i soliti cinque minuti di audioguida per le caratteristiche tecniche del prodotto, cinque minuti che Taglietti censurò per dare spazio alla visione delle nuove lavastoviglie (12 minuti previsti). 

      Anche qui la ressa e l’impressione furono enormi. Le nuove applicazioni tecniche sconvolgevano la natura e la funzione stessa del prodotto quale Taglietti e tutti quelli della sua generazione lo conoscevano. La lavastoviglie Mazziflo non lavava propriamente i piatti, no: li rigenerava. Li rendeva nuovi di zecca ricostruendo il materiale stesso del quale le stoviglie erano fatte: il “paradigma perfetto della clonazione”, annunciava lo slogan pubblicitario. In più la Mazziflo recuperava e rigenerava anche i detriti alimentari e quel che fino ad allora si qualificava con il termine “sporco” diveniva, per effetto delle nuove tecnologie bioniche applicate, un “miniera ecologica e gastronomica” (così sempre lo slogan dall’audio guida) fantastica e praticamente inesauribile. Taglietti ne rimase scosso, indugiò, ammirò, indugiò ancora… ma il segnale dell’orologio (un vibrazione fastidiosa fino a essere dolorosa e crudele) lo strappò di nuovo lungo gli itinerari predefiniti dal programma. Si trovò schiacciato e sbattuto in metropolitana. Erano esattamente le 11,12 come da programma. 

      Fu alla Mondadori in Galleria che si verificò un incidente, un serio incidente. E non per difetto di programma ma per errore di Taglietti: errore umano dunque. 

     Il professor transitava nel flusso dei visitatori del reparto formazione-master con il suo orologio attaccato all’orecchio per l’informativa sui vari titoli appena usciti, quando fu colto dal desiderio insopprimibile di prenderne in mano uno e di sfogliarlo. Fu un attimo, una pausa di dieci forse dodici secondi, poi per effetto di una lieve spinta del consumatore che gli stava accanto, il libro gli cadde di mano, finì sui piedi del visitatore successivo; anche lui si fermò. Luca si chinò e il libro gli sfuggì nuovamente di mano mentre il tempo scivolava via. Negli affannosi tentavi di recuperare il libro passarono altri preziosi secondi: il flusso regolare si era fermato. 

     I segnali di allarme scattarono, gli orologi impazzirono e il rischio di una riprogrammazione collettiva delle agende giornaliere di tutta la coda divenne reale. Ci furono spinte, ressa, clamori. Il libro scomparve calpestato e Luca tentò di chiedere scusa ma fu travolto, sospinto inevitabilmente fuori dal circuito e fuori dall’orario programmato.  Passarono altri interminabili minuti prima che il professore potesse inserirsi e il suo orologio riprogrammò: la presentazione del libro del collega Chiarini era drammaticamente saltata, saltata la prenotazione, saltato il percorso preferenziale sulla metropolitana. Tutto via, un buco di 43 minuti riempito automaticamente (e autoritativemente) da Prometec 3 con la lettura elettronica di un libro di fiabe per bambini alla libreria Antonioli: 25 minuti più 8 per il trasferimento. Luca detestava le fiabe, era costernato dall’assenza ingiustificata alla celebrazione del collega che ci teneva tanto e tanto aveva insistito. Una figura di merda! Che fare?

Vi era una sola cosa da fare, rischiosa ma possibile. Ed era proprio questo un genere di rischio e di decisioni improvvise, immediate e in deroga al programma che esaltava il professor Taglietti, gli metteva le ali ai piedi e al cervello, gli regalava insomma una  manciata di emozioni positive. Quel che vi era da fare era raggiungere a piedi la gioielleria De Van attraverso un percorso non controllato e fuori programma, colmare in tempo esatto il buco dei 43 minuti, reinserirsi nel flusso previsto e, come se nulla fosse, rispettare il programma giornaliero: insomma giocare il Prometec 3 (per altro a quel tempo ancora sprovvisto di un sistema di sorveglianza e di controllo) alla grande. Sì poteva andare così, e doveva anche andar bene così. Detto e fatto il piano fu attuato orologio alla mano. 

     Era sotto i portici e fermo non poteva più stare, si inserì clandestinamente (ma non senza proteste) nel corridoio di consumatori che marciavano in giù verso San Babila. Rispettò il ritmo di marcia, poi forzò, cambio il corridoio e uscì allo scoperto in piazza del Duomo. Era il momento critico.

Pioveva e istantaneamente il cappello con ombrello automatico incorporato (modello Socrates) si aprì dandogli una totale copertura. La piazza era appena illuminata dalle luci dei porticati e lucida di una pioggia fine, sottile come un vapore che annunciava la nebbia.  Laggiù come in un sogno si muovevano nella quasi oscurità le ombre dei no-Prometec, gli emarginati e i devianti che da anni contestavano il sistema condannandosi a una esistenza raminga e disperata. Le notizie, che li passavano come terroristi, erano piene di cronache nere sulla loro attività. Si parlava di agguati, sabotaggi, rastrellamenti notturni, vera e propria guerriglia urbana a danno dei consumatori. Altri tempi! Tempi ancora ricchi di leggende metropolitane fuori controllo, tempi irrazionali della comunicazione emotiva (e ideologica, sottolineava sempre Taglietti). Tutte esagerazioni, manipolazioni dei media e del programma stesso, secondo il giro degli intellettuali indipendenti. Tutto vero, ma l’inquietudine, l’ansia dell’ignoto alla fine c’erano, e come! 

     Uscito allo scoperto Taglietti si preparò con determinazione al contatto. Al primo passo lì fuori allo scoperto, le ombre si mossero come agitate dal vento … “Ma che cazzo vuoi?” lo salutò il coro di quei dannati. Taglietti senza rispondere allungò il passo. Ne avrebbe avuto per almeno ottocento metri (20 minuti). “Dove corri, brutto stronzo? Ma dove vai?”. Silenzio, deviò: ancora settecento metri … “Vieni un po’ qua, consumatore di merda! Fatti vedere tu e il tuo ombrello del cazzo!”. Ancora avanti, Taglietti diede di gambe. “Vai, vai; corri, rientra nel branco!”… Ci fu silenzio, movimento, minaccia. Il cerchio delle ombre si configurò, si strinse. …“Ma lascialo andare! Vai, vai, vecchio rincoglionito, fila via, scappa guardone!”. “Dillo che alla fine ti piace. Ti piacerebbe stare qui, non è vero?”. Ci fu un piccolo insolente applauso, qualche fischio e una lattina rotolò alla ricerca delle sue gambe … E finalmente Taglietti si reinserì di nuovo nel flusso. 

Due spintoni (bisognava forzare) un trapestio di proteste: “Ma che modi!”, “ma lei che programma ha?”, “qui c’è sempre chi si fa i cazzi suoi…”. Lui tentò di scusarsi “Mi spiace, scusi … ho avuto un problema … mi dispiace …”. “E allora? E chi è che non ha dei problemi a rispettare il programma? Se tutti facessero come lei …”. 

     Silenzio, Taglietti incassò rassegnato: via, avanti a testa bassa. Il peggio era passato. 

Orologio alla mano, svicolò, rallentò e trac! Puntuale al secondo si infilò nella coda della gioielleria De Van al suo posto giusto con una attesa prevista di 18 minuti. 

     Una piccola economia di tempo gli venne offerta da una gentile signora che lo precedeva nella coda e si recava lì per il terzo giorno di fila. Parlarono degli ultimi prodotti arrivati, lei li descrisse con cura, lui si fece un’idea precisa di cosa avrebbe dovuto cercare e osservare con maggiore attenzione. C’era consonanza di gusti, di linguaggio, di esperienza culturale e per un attimo Luca guardò l’orologio nella speranza di avere più tempo, un tempo tutto per sé. Si presentarono, parlarono dei loro rispettivi programmi, del tempo che restava, dei due percorsi che di lì a pochi minuti si sarebbero separati. “Sì, anch’io avrei dovuto andare all’Ikea” disse Ilaria (la signora si chiamava così), ma il programma …”. “Mi spiace, dicono che davvero la nuova linea di arredamento … “A me per niente, mi creda” replicò Ilaria “questa notte ho fatto un sogno …” 

     Luca sentiva una sorta d’inquietudine in lei e provò tenerezza come se dovesse consolarla di qualcosa, aiutarla in qualche modo, senza una ragione e senza un perché. Fu un altro intermezzo, un piccolo imprevisto fuori programma, e il tempo volò via. 

Nello splendido negozio vi era un’esposizione di gioielli, oggetti d’arte, bigiotteria di gran classe. Il professore si lasciò trascinare dalle luci, dai riflessi, dalle forme eleganti e delicate, guardò, ammirò, sognò e guardò ancora a sazietà. Poi quando per un attimo chiuse gli occhi allo scopo di rapire e immagazzinare definitivamente quel paradiso di lusso e bellezza … in quello stesso momento sentì un vuoto, una vibrazione interiore. 

     Vide il buio, lo vide come lo aveva visto quella notte nell’agitazione incoerente del sogno; provò la stessa vertigine e si sentì perso nell’immenso magazzino denso di oggetti famigliari, di ombre e suoni che parlavano con lui e di lui. 

     Sentiva il timbro della voce della sua interlocutrice di prima, percepì che forse i loro sogni avrebbero potuto essere gli stessi, fatti degli stessi simboli, oggetti, emozioni e ancora di più si sentì trascinato via, estraneo al programma e al mondo di fuori. Tentò di riaprire gli occhi, di tornare a riprendere contatto con la realtà vera, ma sentì che gli sarebbe costato dolore; vacillò e ondeggiò in una fluttuazione temporale, la stessa che aveva provato nel sogno … 

     “Signore! Signore, si sente bene … Mi dica, ha bisogno … la posso aiutare?”. 

     Si senti afferrare per un braccio e riaprì gli occhi su un viso estraneo e insignificante. “No, no mi creda non è nulla. Grazie, grazie non è nulla. Sto bene, grazie”. Il segnale dell’orologio lo trasse d’impiccio: il suo tempo lì era scaduto. Taglietti riprese il percorso programmato.

Arrivò in corso Vercelli con soli due minuti di ritardo rispetto al programma, ma si pentì di aver scelto la presentazione della nuova linea di abbigliamento Coin. I modelli replicavano la linea di qualche anno prima che del resto a Taglietti non era piaciuta. I nuovi materiali promettevano altissime e inedite prestazioni, durata illimitata e struttura molecolare antimacchia, regolazione termica personalizzata, controllo sanitario e check up individuale con cadenza settimanale. Ma Taglietti era seccato, stanco, distratto e ormai persino infastidito. Il suo pensiero tornava alle emozioni del sogno che l’atmosfera di De Van aveva resuscitato. Non riusciva più a concentrarsi, a osservare e si lasciò trascinare dall’audioguida senza opporre resistenza. L’orologio, come una sicura bussola, lo guidò quasi automaticamente alla concessionaria Mercedes con un viaggio di spostamento di ben 34 minuti che per altro era anche un avvicinamento alla meta più ambita e cioè il nuovo centro commerciale di via Imbonati.

I modelli che Mercedes presentava non scossero la sua attenzione né riscossero il suo interesse. In fondo le auto non gli piacevano più da tempo. Al solo vederle (anche in immagine) avvertiva l’odore dei tubi di scappamento, provava nausea. Lui lì era venuto per lo spettacolo tridimensionale di presentazione (15 minuti esatti) che si rivelò men che mediocre. Dalla Mercedes ci si poteva aspettare di più, si disse in cuor suo, e fu ben contento di essere trascinato verso altre mete. Ma in realtà era la giornata ormai che girava storta; Taglietti si era incupito. Prometec 3 non lasciava sperare in nuove emozioni, funzionava tutto e poi c’era il sogno che ritornava su, lo avvolgeva, lo distraeva come se volesse svelargli un segreto lì a portata di mano. Guardava con fastidio l’orologio e lo portava automaticamente all’orecchio per ascoltare le audioguide degli oggetti (le auto appunto) in esposizione senza convinzione, senza neppure ascoltare.

Durante il percorso di trasferimento in via Imbonati, Prometec 3 gli comunicò una variazione di programma: Roberto non sarebbe stato all’appuntamento dell’Utopia-market perché aveva disdettato l’intero programma giornaliero. Tipico di Roberto, pensò senza alcun turbamento il professor Taglietti, ormai non esce quasi più. Naturale! Il sistema informativo gli offriva un’opzione, prendere o lasciare: nell’Utopia-market si trovava il collega Roberto il cui programma coincideva in termini di tempo con quello di Roberto e con il suo. 

      Promotec 3 avrebbe potuto combinare un incontro salvando la struttura del programma in tutto e per tutto. Prendere o lasciare. E Taglietti prese.

Luca comparve al punto del percorso previsto. “Che piacevole combinazione!”, esordì cerimonioso il suo nuovo interlocutore, “spero non ti dispiaccia per Roberto, ma era prevedibile: sono mesi che rifiuta i programmi e non esce di casa”. “Lo so, e in fondo ha ragione, chi glielo fa fare di correre tutto il giorno. Anzi chi ce lo fa fare, mi chiedo io, e me lo chiedo ormai tutti i giorni”. Luca tirò fuori il bonario abituale sorriso di circostanza: “Ma via! Anche tu, sempre così polemico! Ma è mai possibile che non ti vada mai bene niente?”. “E perché dovrebbe andarmi bene? Perché? un programma di merda in una giornata di merda e con un tempo di merda come quello di oggi. Ma è meglio stare in casa o anche la fuori in mezzo ai no-Prometec rispetto a questa menata del programma giornaliero. Che rompimento di coglioni!” E Taglietti si era sfogato, sfogato con Roberto. Era sempre così: un gioco delle parti, una piccola recitazione, una scena obbligata. “Guarda che esageri come al solito. Sei ingiusto, provocatore come sempre. Sempre a lamentarti! Ma stai chiuso in casa allora…”. “Ma perché devo starmene chiuso, dico io. Perché? Perché mai devo stare al programma, perché? Ma ti pare mai possibile che non ci siano alternative: o in casa o il programma?”. Roberto sapeva bene come rispondere in quel rito che si riproponeva quasi inalterato ad ogni loro incontro: “Ma lo vuoi spiegare come si possono muovere sedici milioni di persone in una città che ormai ha solo ventimila tra centri commerciali, negozi, gallerie di presentazione prodotti, boutiques… me lo spieghi? Datti da fare tu, pensaci tu, studiane tu una migliore”. “Ma chi se ne frega dei centri commerciali. Ma dimmi tu se è possibile andare avanti così…”. “ Ma allora stattene a casa, ma chi te lo impedisce?”. “ Ma lo vedi che non capisci un cazzo! Io dico…”…  e così via: la solita polemica, i soliti discorsi giusto per far passare il tempo e rispettare il programma. Avevano prenotato il panino di mezzogiorno. Diedero il buono pasto e mangiarono in piedi nella ressa dei visitatori. Le solite chiacchiere, le solite polemiche da intellettuali indipendenti. Scaduto il tempo previsto si salutarono e via, per percorsi diversi. 

Per Luca fu una delusione scontata. L’Utopia–market altro non era che un monumentale centro commerciale (marmi, piazze coperte, giardini pensili in una ambientazione di tipo hollywodiano) come ne nascono e muoiono ogni giorno nelle nostre metropoli per ragioni di aggiornamento, controllo della socialità e manutenzione dei quartieri urbani. Taglietti, nonostante le corsie preferenziali e l’orientamento offerto dall’audio guida, rischiò di perdersi. Le alte gallerie a specchio, le pareti di vetro e l’omogeneità degli arredi delle piccole piazze e dei vicoli interni creavano un vero labirinto di immagini, suoni, voci e flussi di visitatori che frenava e rendeva incerta la marcia; il tempo incalzava e il programma imponeva un ritmo di marcia e di visita quasi insostenibile. Quella visita alla fin fine si dimostrava un clamoroso errore, una forzatura e un capriccio davvero autopunitivo, ma non del programma, piuttosto delle astuzie antiprogramma dello stesso Taglietti: che mai importava a lui di quel nuovo centro commerciale? Perché si era incaponito a metterlo dentro, a esigere un tempo così ristretto per visitarlo? Taglietti dovette ammettere suo malgrado che il Prometec l’aveva sconsigliato; era stato lui a forzare. Ne uscì sfinito e trascinato via di forza dall’incombere del programma, doveva correre, correre… ansimare, ansimare… soffocare, e intorno gli oggetti, stoviglie e televisori, pendole e casseruole, lavatrici e libri (cataste di libri) anche loro correvano via come visti dal finestrino di un treno ad alta velocità; e via via perdevano di consistenza e contorno come in un immenso spazio senza punti cardinali, né strade, ne cammini possibili via e via e via e… ancora, ancora e… e Luca riprese istantaneo contatto col sogno: gli parve ancora di riviverlo, esserci dentro e aver superato il confine tra la dimensione di dentro e quella di fuori, tra il sonno e la vaglia: più in là, più in là e oltre e oltre… e gli parve ancora di essere sull’orlo dell’abisso e del vuoto… del vuoto di nubi e di soffocare, soffocare e adesso devo svegliarmi… svegliarmi… e… e alla fine fu fuori, lontano già in marcia verso il Circolo della stampa. Prossimo impegno da programma della giornata.

Pur con percorsi diversi e programmi diversi Luca e Roberto si ritrovarono lì per la conferenza di Recupero. Erano le 17,28 come previsto, come da programma. Venticinque minuti (non uno di più) di presentazione del tema “marketing come metafisica della ultramodernità” e poi il dibattito. Taglietti non era riuscito ad inserirsi negli interventi (il programma glieli aveva negati), Lucane aveva prenotati due. Altri colleghi intervennero (2 minuti a intervento), Taglietti avrebbe voluto… ma il tempo per lui era scaduto. Alle 18,05 era giù in strada e ormai completamente sfinito, a pezzi e di pessimo umore.

Tutto il resto fu un incubo e nulla di più. All’agenzia viaggi Programmi nel mondo la presa di visione di tutti i nuovi prodotti fu un vero calvario. Taglietti vide isole tropicali, montagne innevate, navi in crociera, stanze d’albergo, ristoranti su spiagge e in antichi castelli, verdi campi da golf e piscine azzurre, vide depliant e mostre virtuali di catene alberghiere, mostre virtuali e animazioni tridimensionali di siti e di alberghi. Vacillò, provò nausea, crollò. Era saturo, inseguito dalle parole di Recupero e dai suoi paradossi interpretativi della realtà “il consumo visivo è il solo consumo”, “la sola osservazione visiva suscita emozione e appaga”, “quel che conta non è produrre, ma vendere, vendere però significa comunicare e comunicare altro non è che consumare in via istantanea, consumare in via istantanea, cioè emotiva, esclude la formalità della vendita”, “la nuova teoria dei consumi è metafisica e la metafisica dei consumi è il solo approccio esistenziale alla modernità”… Ebbe uno smarrimento, come un provvidenziale distacco e si abbandonò al programma senza più resistenza, senza nemmeno pensare. Guardava l’orologio, seguiva il programma e… uno e due e tre e la sua giornate di 14 ore era finita. Finita!

*  *  *

Il professor Luca Taglietti riprese una modesta coscienza di sé solo sulla porta di cosa a fine programma. Non era neppure stanco, era vuoto e si sentiva rinsecchito come una mummia immersa da mille anni nella sabbia del deserto, di tutto il deserto del mondo. Degli ultimi impegni che lo avevano portato da un capo all’altro della città prima alla concessionaria Mercedes, poi all’Alfaromeo e infine alla sala dei mercanti nel turbine di altre presentazioni di prodotti investiti dalla folla anonima dei consumatori non aveva più neppure memoria; solo ombre e vaghi graffiti del pensiero, oggetti indefiniti pulsanti di luce, rumori, spinte e tensioni emotive. Aprì la porta di casa e la luce si accese, spense la luce e si buttò sulla poltrona; chiuse gli occhi.

Dopo 14 ore di shopping virtuale, tutti ormai lo sappiamo, le cellule cerebrali subiscono lievi alterazioni. Oggi le curiamo coi farmaci, un tempo era indispensabile e prescritta la terapia del buio e del silenzio; si riteneva che la meditazione di fine programma consentisse il riequilibrio delle funzioni vitali e l’immagazinamento delle informazioni, il loro riordino e si riteneva che ciò facesse da stimolo, motivazione e fidelizzazione del consumatore allo shopping virtuale. Insomma predisponesse alla replica coatta delle azioni e del programma nei giorni successivi. Nulla di più falso, come è stato poi dimostrato. Prova ne sia che lo stress collettivo e l’alto numero di malattie mentali invalidanti hanno archiviato un intero modello di civiltà e di comportamenti. Prova ne sia il fatto che il nostro Luca nel corso di quei momenti di buio e silenzio, in quella pausa di distacco consigliata (ma in realtà imposta) dal Prometec 3 andava sempre rimuginando con il massimo di eccitazione e di sconforto lo stesso problema: perché mai quell’attività quotidiana frenetica e devastante sul piano fisico e mentale se i prodotti visti, apprezzati, desiderati non potevano poi essere comperati? Perché l’incredibile offerta quotidiani di nuovi prodotti  tecnologicamente sempre più sofisticati se poi tutti questi oggetti non potevano essere posseduti? Un paradosso che ormai disturbava solo la piccola cerchia degli intellettuali indipendenti alla quale fatalmente anche Taglietti, suo malgrado, apparteneva. In passato (un passato remoto per quanto lo riguardava) lui aveva partecipato attivamente al dibattito, scritto saggi, partecipato a dibattiti e a conferenze erudite. Una intera generazione di intellettuali si era affaticata sul tema di una possibile alternativa al programma Prometec e ad indagare le cause che lo avevano reso possibile prima e indispensabile poi. Lui Roberto, Bernardo, Fabrizio, Chiarini, Recupero e tanti altri erano stati della partita: polemiche, confronti, persino violente rotture intellettuali e ideologiche, autocritiche, rifondazioni, tentativi di rilancio di un dibattito che però si era andato via via inaridendo, quasi era divenuto non tanto clandestino quanto di maniera fino a suscitare il disinteresse interiore e il completo distacco emotivo. Alla fine ormai la diagnosi era stata fatta, fatta e mille volte ripetuta. L’unico sviluppo possibile, quello compatibile, per una società a dominanza tecnologica non consentiva altro che essenziali consumi di massa, consumi minimi al livello di sussistenza, consumi rigidi, programmati e controllati. In una economia totalmente globalizzata una comunità umana di ventisette miliardi di abitanti per la totalità inurbati in consociazioni di decine di milioni di individui costituiva un volume di potenziale offerta tale da essere perennemente insoddisfatto e porre a rischio di paradossali tensioni e degenerazioni il rapporto classico tra domanda e offerta. Per contro rinunciare all’economia di mercato avrebbe comportato un pauroso arretramento della civiltà, la distruzione dello statuto stesso del consumatore portante dell’intero modello di civiltà e avrebbe quindi causato un salto nel buio verso il caos originario. E poiché, secondo l’assunto ormai classico di Recupero “la comunicazione è il paradigma essenziale del consumo”, l’unica soluzione era parsa quella di virtualizzare lo schopping facendone il canone essenziale della socialità e dei comportamenti individuali e collettivi. Tutto qui: la diagnosi era fatta; semplice, limpida, cristallina. Ma la terapia? Le varianti sul tema, secondo Taglietti, non portavano a nulla. Anche le spiegazioni fornite al consenso della quasi totalità degli esseri umani al sistema (i no-Prometec costituivano indubbiamente un fenomeno del tutto marginale deviante) suscitavano in Taglietti insoddisfazione e sospetti. Il radicale convincimento di Luca per il quale “l’uomo è, per natura, consumatore” gli sembrava fragile; che il solo atto di socialità potesse essere il consumo “perché il consumo è innanzitutto tensione emotiva e al suo livello più profondo è dunque atto necessario d’amore” come aveva teorizzato Ada, gli era parsa una semplice fuga romantica assai poco teoricamente fondata; anche il modello elaborato da Chiarini in base al quale “la rinuncia alla mitologia del consumo sarebbe implicitamente una rinuncia la libero mercato e dunque una rinuncia alla libertà nel suo più profondo significato antropologico e morale” lo lasciava indifferente. Più attenzione Taglietti aveva accordato alla tesi di matrice politologica elaborate da Roberto: “il potere si fonda sul mito e il mito del consumo fonda questo potere, ma anche la produzione dei miti è un fatto economico e dunque questo potere altro non può fare che esprimere gli interessi economici di questa fase del capitalismo”. Vi era stato dibattito, polemica e alla fine rottura. “Ma quale potere?” aveva invocato Bernardo, “quale capitalismo?”: alla fine un giudizio senza appello e poco accademico aveva concluso l’agone: “è una stornzata” chiuse lapidario Taglietti. Insomma la diagnosi era fatta, il modello teorico insoddisfacente, la terapia…

E così le meditazioni serali di riequilibrio rispetto allo stress del programma giornaliero finivano per Taglietti in un rovello infinitamente ripetuto, angosciante e senza via di scampo. 10/15 minuti forse anche di più in funzione dei tempi previsti da Prometec 3 che a tempo scaduto puntualmente lo richiamava al programma, al programma del giorno dopo.

Luca si alzò accese la luce, si rivolse al panello di controllo, formulò il codice e ritirò il suo pasto. Era nervoso e quando aprì il piccolo contenitore ancora caldo gli salì la pressione. Prese contatto con i servizi sociali di quartiere:

“Taglietti, via Morgantini, immobile 7 appartamento 749 modello S-36. Classe 6” esordì con voce tagliente “mi scusi, ma oggi non dovevano esserci i filetti di soiland verde?”.

“Si, qual è il problema?”.

“Il problema è che qui ho tra le mani le polpette di soiland blu, deve esserci un errore di programma”.

“Un momento, per favore, ora controllo…” Taglietti era eccitato. “No nessun errore: polpette di soiland blu”.

“Non è possibile. Ma lei il menu settimanale lo ha visto?”.

“Si che lo vedo, ce l’ho qui sotto gli occhi… Ma lei di che classe è?”.

“Classe sei!” sparò perentorio Taglietti.

“No: classe sette, è qui il problema”.

“Ma come è possibile? Io ho 69 anni, questo almeno lo so”.

“Certo, ma il programma le attribuisce la classe sette perché e entrato nel settantesimo anno. E’ giusto… Ma poi scusi, che gliene importa? Verde o blu, polpette o filetti che conta? Tanto è sempre soiland, no?”.

Taglietti adesso schiumava smarrito in un universo ostile: “ Si, ma allora perché se sono una classe sette il mio appartamento è una classe sei? Me lo vuole spiegare?”

“Bella domanda! Aspetti che guardo… Perché, ecco qui, il suo trasferimento deve avvenire entro il sessantanovesimo anno. C’è ancora tempo. E’ tutto normale, buonasera professor Taglietti” e la comunicazione si chiuse.

Mangiò di malavoglia e si mise al lavoro di pessimo umore. Avrebbe voluto prendere contatto diretto con Roberto ma solo per chiedergli: “senti ma tu ne fai mai di sogni la notte?”, ma non aveva programmato il contatto e rimandò al giorno dopo. Lavorava male e dopo due ore non era riuscito a imbastire un programma di visite per il 24 dicembre. Chiese un supplemento di contatto con il Prometec 3 di almeno un’ora. Gli furono concessi 37 minuti. Finì come poté mentre la fatica pesava ormai più dell’incazzatura. Puntuale venne meno il contatto e si apri la cerimonia del suo petit couché: bagno, spazzolino, dentifricio, pisciatina di fine giornata, pigiama, coperte, lenzuola, cuscino, gli occhiali… sulla poltrona. Si consolò, mentre gli si chiudeva gli occhi, pensando al fatto che con il trasferimento in un appartamento (in realtà u monolocale) della classe 7 avrebbe guadagnato sei metri quadri per il letto di emergenza. Gli occhiali, alla sera, avrebbe potuto metterli lì. Poi al minuto previsto si fece buio, venne il silenzio.

E quella notte, come ogni notte, il professor Luca Taglietti fece un sogno penoso, generatore di ansie e di progressivo, opprimente malessere che al fine lo risvegliò. Gli parve di essere immerso, anzi di galleggiare, in un mondo umido e denso di nebbie, un universo privo di suoni come sovrastato da nuvole pesanti …