Il grado di specializzazione del tempo, proprio alla civiltà contadina, non deve andare oltre i rapporti che si istituiscono tra le fasi biologiche del corpo umano e il miracolo continuamente ripetuto della natura che l’uomo deve sfruttare. La vita dell’uomo e le stagioni della natura con moto perpetuo si sovrappongono, si integrano in un sistema ciclico entro il quale si realizza il triplice accordo tra natura, uomo e società. La storia del tempo nella società rurale è dunque un continuo succedersi di patteggiamenti tra la vita biologica dell’uomo, le epoche della natura, la produzione. Nascita, vita, morte e riproduzione o, se si preferisce, resurrezione sono i ritmi sui quali si co¬struisce la circolarità dell’esistenza. La produzione della collettività rurale e le tecnologie che la consentono non abbisognano di altri confini.***
Tempo e storia – Dimensione del mondo rurale
Tempo e storia
L’azione sociale di Antico regime si sviluppa in una dimensione del tempo e dello spazio che è quella della civiltà rurale così come abbiamo cercato di definirla nel capitolo precedente; è la sua, non la nostra. Occorre perciò sottolineare con forza che i comportamenti degli abitatori di quel tempo non si sono realizzati allo scopo di fornire a noi un criterio di interpretazione del nostro esistere in funzione della continuità storica; furono bensì espressione di una autonoma necessità, di una dimensione culturale appropriata, cultura e necessità alla quale competeva di conciliare le contraddizioni del reale. Stabilità e mutamento ossessionano la nostra visione del mondo, ma il conflitto nella società di Antico regime si sviluppò e venne gestito in relazione a una dimensione del tempo che non è il nostro tempo storico. La ricerca storica coinvolge infatti necessariamente anche una storia del tempo e dello spazio che accompagnano la civiltà dell’uomo. E questa storia del tempo, una storia parallela al nostro tempo storico, eppure più dilatata, più essenziale di quanto, al primo contatto, la si possa percepire, è il riflesso e anche un indicatore privilegiato del grado di integrazione dell’individuo nel più ampio organismo sociale.
Intendo dire che, per accedere davvero alla comprensione dei comportamenti e della dinamica sociale del mondo rurale di Antico regime, dobbiamo innanzi tutto rinunciare al concetto di misurazione e giustificazione del tempo che ci appartiene, rinunciare alla dimensione della «storia» che noi pratichiamo e che si impone proprio sulle rovine dell’Antico regime e contro di esso. L’interiorizzazione del tempo come «storia» è, nell’età attuale, ancora dominata, a livello di coscienza collettiva, dalla categoria illuministica del «progresso». La storia occidentale, quale noi generalmente la pratichia¬mo, è storia teleologica, storia della necessità e non del caso; essa non si limita a raccontare empiricamente gli eventi, ma è fatta di una sostanza che fissa un destino alle vicende umane, un destino irreversibile che pone impe¬rativi all’essere stesso del tempo. Ogni avvenimento misurato nella narrazione storica non ha lo scopo di vivere una vita autonoma, non si giustifica da sé, deve invece giustificare quello che lo segue ed essere giustificato da quello che lo ha preceduto in relazione a un programma che il tempo storico reca in sé. Il sistema di misurazione del tempo, che affonda le sue radici nell’utilitarismo, nell’evoluzionismo o nell’idealismo, è un sistema di selezione dei fatti, uno strumento per privilegiare fatti ed eventi interpretandoli in funzione di obiettivi ideologici universalmente vissuti, e questo modo di procedere può forse essere legittimo, quando sia applicato all’epoca «storica» che appunto lo ha prodotto. Passato, presente e futuro si allineano così secondo esigenze di interpretazione finalizzate al sistema di valori dominante. La nostra storia risponde insomma ad aspettative che vogliono un modo di produzione in costante crescita produttiva e conflittuale. Questa storia della civiltà industriale non nasce all’insegna dell’equilibrio e non tutela più l’ecosistema della collettività umana. Quella della civiltà industriale è una storia fragorosa e lampeggiante, fatta di un tempo rapido che non vorrebbe ripetersi mai e non si concilia con l’ecologia, ma risponde alle esigenze di una continua progettazione sociale. Il nostro modo di dominare il tempo giudica e contrappone stabilità e mutamento che vicendevolmente si escludono, o perlomeno si combattono duramente.
Questa utilizzazione del nostro tempo storico non è invece accettabile se la storia che ci si propone di ricostruire riguarda proprio quegli aspetti che la cultura occidentale ha eliminato. La storia del tempo diviene allora un momento importante dell’analisi storica. Così è per la société paysanne, che ha progressivamente subito il dominio della società inglobante prima e della società industriale poi. Per effetto di questo dominio, i connotati dei gruppi sociali esclusi dal potere appaiono deformati, il loro mondo di valori ci giunge persino rovesciato; osservata nel nostro spazio e misurata con il nostro tempo storico, la società rurale ci appare quale essa non fu. Il mondo contadino è stato infatti considerato dalla storiografia liberale come un residuo del passato, quasi un campo di resistenza e di reazione al moto progressivo del tempo storico; e nella storiografia marxista, sino a un non lontano passato, l’analisi del mondo rurale è stata sacrificata alla scelta pragmatica di affrontare il capitalismo come momento culminante del conflitto sociale, per cui i contadini sono stati osservati o come futuri proletari, o come le forze ausiliarie della classe operaia. Queste due tendenze interpretative, che sostanzialmente si intrecciano e si sommano, sovrappongono il nostro tempo storico alle reali condizioni di esistenza di un modello di organizzazione umana, le cui strutture mentali furono alquanto diverse. L’effetto radicale di ciò è, dunque, quello di spogliare il mondo rurale della sua storia, l’Antico regime del suo tempo e le popolazioni francesi della loro azione sociale. Perché, è bene ricordarlo, spazio e tempo sono produzione sociale e culturale allo stesso titolo con cui è produzione sociale un assetto istituzionale, un utensile, un prodotto letterario, un comportamento morale e politico, un conflitto. Ogni società, ogni comunità di soggetti agenti produce il suo tempo, il suo spazio e un suo modo di fare la storia, così da saldare spazio e tempo in una compiuta percezione della realtà.
Dunque appare appropriato, per accedere alla società di Antico regime, abbandonare la nostra dimensione del tempo. Riusciremo a far conciliare, allora, i termini estremi della stabilità e del mutamento e a ritrovare un criterio di interpretazione capace di fornire omogeneità a quei comportamenti e a quelle istituzioni che, illuminate dal nostro tempo, appaiono invece contradditorie e disarticolate. Contemporaneamente potremo rinunciare a proporre criteri di interpretazione che sono l’effetto di un trasferimento della nostra cultura in seno alla società di Antico regime.
Quanto si è detto sin qui implica necessariamente che il tempo e lo spazio, che dobbiamo ricercare, non sono un semplice sottoprodotto del nostro spazio e del nostro tempo; non si tratta di uno spazio più angusto, di un tempo più lento a scorrere per effetto di una mancata accelerazione nelle condizioni di vita materiale, semplicemente si tratta di dimensioni diverse, «altre» rispetto alle nostre.
La nostra percezione del tempo si costruisce in seguito a un lento processo di cui dà ragione la storia del pensiero scientifico, il quale si è poi imposto il compito di misurarlo. Questo processo si compie con fatica proprio nella seconda metà del XVIII secolo, poi lentamente la misurazione scientifica del tempo si affina e si propaga. Quali siano le fasi reali di propagazione e penetrazione del «tempo» scientifico nel vissuto collettivo e nel vivere comune è difficile dire, soprattutto se si tien conto che la cronologia dei testi sacri ha costituito un punto di riferimento per la cultura religiosa occidentale fin quasi ai giorni nostri. È vero che la dimensione del nostro tempo storico vede la luce, dopo un dibattito quasi clandestino, tra il 1774, data di pubblicazione dell’Essais sur les moeurs, e il 1793 quando compare l’Esquisse di Condorcet, ma le opere più diffuse fino al 1789 sono le storie genealogiche ed erudite di Mézeray, Daniel, Le Gendre, Henault1 e l’educazione della classe dirigente si compie sul Discours di Bossuet in base al quale la storia dell’umanità si modella sull’interpretazione letterale della cronologia dell’Antico testamento. Sino alle inquietudini intellettuali della seconda metà del XVIII secolo, la storia erudita che giungeva dalle esperienze del Rinascimento non aveva ancora spezzato i suoi legami con la struttura stessa della civiltà rurale; signori e contadini vivevano immersi in una storia concreta fatta di una sostanza capace di narrare empiricamente gli eventi senza fissare un destino, un principio e una fine, all’ordine immutabile della natura e della società; era «una grande storia, storia liscia, uniforme in ognuno dei suoi punti e tale da aver trascinato in una stessa deriva, in una stessa caduta o ascensione, in uno stesso ciclo, tutti gli uomini e con essi le cose, gli animali, ogni essere vivente o inerte, fino ai volti più calmi della terra». Il tempo intravisto o appena scoperto dagli illuministi non coinvolge sino al 1789 il tempo politico e sociale di Antico regime, quest’ultimo si misura infatti in relazione alla contiguità che il Settecento ha con la società rurale. Per entrare davvero nel tempo politico e sociale che si esprime dalle condizioni materiali di esistenza dell’Antico regime, occorre varcare il ristretto confine del dibat¬tito intellettuale e scientifico del secolo dei lumi. Si impone allora un rovesciamento di ciò che i nostri ricordi hanno sedimentato e interiorizzato, dal tempo della Rivoluzione passiamo immediatamente al temps des paysans.
Dimensione del mondo rurale
Questo territorio di ricerca è, in buona parte, da dissodare e le possibili fonti sono sparse un po’ ovunque, apparentemente inesauribili e al tempo stesso difficili da identificare; esse si trovano nella storia materiale e letteraria, nell’antropologia e nell’etnografia rurale, nella tradizione folklórica delle campagne francesi. Inutile dunque tentare un cammino autonomo. La strada obbligata è quella che consiste nel raccogliere intuizioni sparse, segmenti di ricerca compiuti su aspetti e problemi disparati del sociale di Antico regime.
Il punto di partenza può essere offerto dalle intuizioni e ricerche di Le Goff il quale, sul finire del Medioevo (secoli XII-XIV) ha rintracciato nella mentalità europea almeno due dimensioni del tempo, separate e coesistenti: il tempo della Chiesa e il tempo del mercante. Si tratta di due luoghi mentali abitati dagli uomini in relazione alla loro professionalità. Il tempo della Chiesa, quello che abitano i chierici e che, a partire dal loro insegnamento, viene diffuso nel sociale è quello della infinitudine divina, del disegno provvidenziale che si snoda con continuità; esso si modella per imitazione dalla lettera delle Sacre scritture, ha un corso capace di dare spiegazione a ogni evento e di consentire l’interpretazione in una logica di continuità; è un tempo per definizione «teologico», morale, che ignora il principio di relazione causale della scienza. Altro è il tempo che si afferma nell’habitat urbano con l’avvento della mercatura e di un embrione di vita commerciale. «Per il mercante, l’ambiente tecnologico sovrappone un tempo nuovo, misurabile e cioè orientato e prevedibile, al tempo, insieme eterna¬mente ricominciato e perpetuamente imprevedibile, dell’ambiente naturale». Le Goff dimostra poi che il tempo del mercante finisce per trionfare, nel contesto urbano, durante il XVI secolo, quando si giunge alla regolamen¬tazione dell’orario giornaliero di lavoro all’interno degli ateliers artigiani.
E il tempo del contadino? La lettura di Le Goff potrebbe suggerire una abituale frequentazione, da parte dei nostri paysans, del tempo della Chiesa e sicuramente essi si trovano a una grande distanza dai ritmi della vita urbana, che assume sempre i tratti di quella «società inglobante» la quale si contrap¬pone e soverchia la società rurale. Inoltre la presenza della chiesa nel villaggio sembra fornire ai contadini un solido criterio della misurazione del tempo scandito dalle funzioni religiose, dai periodici e giornalieri richiami alla preghiera e dalle celebrazioni di festività che ricongiungono la comunità contadina al continuo ripetersi mitico degli eventi celebrati dalle Sacre scritture, calendari, almanacchi, che circolano nelle campagne, sono anch’essi legami al tempo delle chiesa. Ma qual è il grado di cristianizzazione delle campagne francesi? E in che misura il processo di acculturazione religiosa si piega a compromessi con la cultura contadina sino a divenire un manto protettivo di convincimenti persistenti e radicati? A giudicare dalle più recenti tendenze della ricerca storica e di sociologia religiosa, vi sarebbe, nella Francia di Antico regime un processo di cristianizzazione graduale che giunge al suo apice nel XVII secolo e subisce poi una progressiva erosione a partire dal XVIII secolo. Il tempo della morte barocca, celebrato da Vovelle nella sua grande inchiesta sulla Provenza del Seicento e del Settecento, sembra identificarsi con il culmine di diffusione della pratica religiosa nelle campagne francesi. E, però, considerata alla luce delle tradizioni folkloriche e dell’analisi etnografica, la devozione popolare ha tratti che la portano ben al di fuori dell’ortodossia.
I miti dell’antica Francia, così come vengono ricostruiti dagli specialisti di tradizioni popolari, ci pongono a confronto con persistenze culturali, sedimentate nei secoli; ci fanno scoprire credenze collettive alle quali puntualmente si piegano le pratiche religiose del cattolicesimo. Anche qui i criteri di interpretazione «esterni» alle strutture della societé paysanne rischiano di produrre incertezze e confusione. La religione delle masse rurali e delle comunità contadine è fondamentalmente caratterizzata da una diffusione del sacro, che assorbe in sé l’intero tessuto del credo religioso rivelato; l’opera di evangelizzazione si adatta e penetra nelle strutture religiose preesistenti che sono spontanea e autonoma secrezione della cultura contadina. Appaiono, «sotto la vernice cristiana, un insieme di credenze, di tabù e di riti che la cultura popolare tiene in vita» e che a volte sono sopravvissuti fino alla Rivoluzione e persino fino ai giorni nostri. «Queste credenze intridono le devozioni popolari, da quattro o cinque secoli, di caratteri che i riformatori protestanti e cattolici definiscono diabolici e superstiziosi. Esse dimostrano piuttosto, che il cristianesimo è stato inghiottito dalla cultura popolare rurale e integrato in una visione del mondo animista e vitalista». R. Muchembled, che sto citando, rinvia il problema in seno alla cultura popolare nel suo insieme e questo richiamo ci spinge tuttavia a rientrare nel cuore della società paysanne per riscoprire il tempo che stiamo cercando. Se si accetta il criterio «professionale» di Le Goff, balza subito agli occhi il fatto che il contadino è soggetto nella sua attività professionale al tempo metereologico, al ciclo delle stagioni, alla imprevedibilità delle intemperie e delle calamità naturali. Il suo tempo insomma si confonde con il ritmo della natura. Dico «ritmo», e si potrebbe dire «dimensione temporale» della natura, perché la natura non ha una «storia» agli occhi del contadino; sicuramente essa è portatrice di un ordine, ma proprio la compiutezza di questo ordine esclude il mutamento progressivo. Del resto, neppure il pensiero scientifico del XVIII secolo si è fatta una precisa idea delle età della natura e la «storia naturale» nasce da una attitudine mentale a misurare il tempo dell’uomo come tempo storico; solo in un secondo momento esso si dilaterà per organizzare temporalmente le vicende naturali.
Così viene fatto immediatamente di pensare, per la société paysanne, a quel «tempo ecologico» o «tempo strutturale» che gli antropologi scoprono nelle società primitive e che secondo Lévy-Strauss caratterizza le «società fredde», la cui «temperatura storica è vicina allo zero». L’intreccio dell’antropologia e della storia, come quello della demologia e dell’etnografia, è sicuramente legittimo per analizzare le strutture mentali di una società prealfabeta come quella di Antico regime caratterizzata dal netto prevalere della civiltà orale. Tempo e spazio sono i livelli elementari della cultura e si connettono alle condizioni elementari dell’esistenza le quali nella società contadina sono essenzialmente condizionate da quelle biologiche. Perciò il rapporto stesso dell’uomo con il suo corpo e con l’età (dimensione temporale dell’organismo) può aprire uno spiraglio verso l’identificazione della dimensione che stiamo cercando. […]