“L’immagine plastica di quello che sta accadendo l’hanno avuta i passeggeri del volo che ieri pomeriggio ha portato Monti da Milano (dove ha fatto scalo in arrivo da Berlino) a Roma. Quando alle 15.30 l’Az in arrivo dalla Capitale si avvicina al finger di Linate, una flottiglia di auto blu a sirene spiegate recupera un gruppetto di ministri di rientro dai palazzi romani. Dal finestrone del gate ad osservare la scena c’è proprio Mario Monti. Il neo senatore a vita è solo, seduto insieme agli atri viaggiatori che aspettano l’imbarco. In mano stringe un trolley e sulla spalla porta una sacca di tela blu: sopra c’è scritto “EU Antitrust”, un ricordo dei dieci anni vissuti da commissario europeo a Bruxelles. Un altro viaggiatore che assiste alla scena lo avvicina: “Professore, ci salvi lei”. Poi Monti si imbarca, siede al posto 1C e si mette a leggere. Al suo arrivo a Roma lo prende in consegna una Lancia Thesis blu messa a disposizione del Quirinale”. (la Repubblica – 11 novembre)

È possibile scrivere una storia istantanea degli eventi? Tradurli cioè in paradigmi narrativi che si iscrivono nel presente resuscitando il passato e conciliandolo con un futuro possibile?
Questo racconto, vero o falso che sia, devo confessarlo, suscita qualche emozione e per questo tramite ci introduce alla storia che nel quotidiano stiamo vivendo: ne spiega il passato e tenta di riconciliarla con il futuro che è proprio il passato a generare. Lo stesso ne è della vicende che hanno accompagnato la caduta del governo Berlusconi e dato vita alla rappresentazione mediatica dell’evento: canti, insolenze liberatorie, te deum di ringraziamento, parole lasciate in libertà che stavano dentro e hanno preso corpo di azione collettiva. La piazza e il scendere in piazza, “bella ciao”, monetine … L’arsenale simbolico del passato da vita al presente perché la Storia si fa così ed è questo il senso delle storie a cui partecipiamo e che ci raccontiamo.
Un recentissimo sondaggio precisa che il 96% degli intervistati si attende un governo di soli tecnici, senza nessun politico. Un governo, si potrebbe dire, dell’antipolitica e forse è proprio così. Ma le metafore e le similitudini si sprecano. Naturalmente non vi è nessuna simmetria e similitudine possibile tra i 17 anni di berlusconismo e il Ventennio di cui quasi non portiamo memoria, ma si tratta di regimi politici e cioè di sistemi di potere rigidi, cristallizzati e, nella sostanza immobili. Sistemi complessi e coesi nella loro innumerevoli componenti che fanno stile di vita, cultura diffusa, insieme stabile di relazioni e regole di comportamento. Questo sì.
Altre possibili simmetrie?
Il governo Berlusconi è caduto perché ha perso la guerra che sembrava voler ingaggiare nel laboratorio ideologico delle sue origini: liberismo estremo, anticomunismo militante, fare i soldi coi soldi, violare le regole materiali e morali che impediscono il libero gioco degli interessi individuali e di gruppo. Per effetto dei fondamentali fragili di una economia arretrata e priva di innovazione, di una classe politica e dirigente blindata nei suoi privilegi e radicata nelle sue incompetenze, è facile ricordare un lontano passato: un esercito straccione, generali e gregari incompetenti, una retorica che diviene menzogna consapevole e sistematica. Teatro mediatico, schermo che sostituisce la piazza, censure e censure, menzogne e menzogne.
Ora che gli Alleati sono sbarcati ad Anzio (e il nostro sistema produttivo è alla mercé del nemico e la guerra è perduta, tradimenti, fughe, voltafaccia, mimesi. Dicono che quando lo speaker della Radio Italiana (l’ERI di buona memoria) nel leggere, il 25 luglio ’43, il decreto della caduta del governo Mussolini se con una mano stringeva il foglio con il quale si cambiava il destino d’Italia e si apriva la strada alla guerra civile, con l’altra si toglieva la “cimice” (il distintivo del Partito fascista) con la quale aveva convissuto per anni in una illusione di miserabile protezione.
Tra il 25 luglio e l’8 settembre non fu più possibile nutrirsi di illusioni e incompetenze. Ma il regime, con un manipolo di disperati incuranti delle sorti del Belpaese, sopravvisse alla catastrofe che aveva preparato e consapevolmente voluto. Diede vita a un parlamento nel Nord, spaccò la convivenza nazionale e, nella menzogna, suggellò la generale sconfitta.
Furono anni bui di sofferenze, macerie, miserie e solitudine.

Alla luce di questi appannati ricordi il raccontino posto in premessa resuscita un clima di smarrito pessimismo e di inquietudini, ma anche di accettazione della realtà: mentire a sé stessi non sembra più possibile. Vi è nella scena un’Italia profonda, vagamente normale, disposta a resistere nella tempesta immaginando una Italia migliore. Vi sono le premesse di una rivolta morale. Forse gli italiani ci sono e l’Unità si può fare.