In occasione delle celebrazioni del Centocinquantenario e del ventennale del Regime il Paese appare diviso. Diviso moralmente, politicamente, socialmente e territorialmente. La storia si ripete, perché è l’analogia la strumento storiografico per eccellenza. E, come in passato, come nel ciclo ‘42/’45 non sono chiari il perché, le ragioni e la strategia della discesa in campo del Bel paese. Il nemico è ovunque e il Belpaese è in guerra con se stesso. È in questo clima storico che si commemora il 25 aprile la guerra di Resistenza, la Liberazione del Paese dal Regime fascista. Oltre ogni polemica politica e storica, oltre ogni oblio, quella che oggi si celebra è una sequenza che apre le porte del nostro futuro: Resistenza, impegno, liberazione, ricostruzione.

L’Italia è in guerra. Una guerra di trincea e di logoramento, che nessuna manipolazione mediatica, nessuna propaganda di regime, può più dissimulare. I fronti aperti sono molti e le notizie dal fronte giungono confuse e contraddittorie perché quello che non è chiaro è contro chi sia la guerra e se mai già fosse perduta. In occasione delle celebrazioni del Centocinquantenario e del ventennale del Regime il Paese appare diviso. Diviso moralmente, politicamente, socialmente e territorialmente.
      La storia si ripete, perché è l’analogia la strumento storiografico per eccellenza. E, come in passato, come nel ciclo ‘42/’45 non sono chiari il perché, le ragioni e la strategia della discesa in campo del Bel paese. Il nemico è ovunque e il Belpaese è in guerra con sé stesso.
      Il paradigma è offerto dalla guerra di Libia. Qui non è ancora chiaro con chi e contro chi la stiamo combattendo. Contro Gheddafi o contro i suoi oppositori? Contro la Francia, la Tunisia o l’Unione europea? E questo non è il solo fronte. Un conflitto a dir poco “storico” è, da un ventennio, ingaggiato contro il comunismo e l’Unione Sovietica, fantasmi di un passato che non esiste più nella memoria storica degli italiani. Una guerra in-“civile” è in corso da vent’anni contro il potere giudiziario. Una guerra “civile” divide il paese tra Nord e Sud, tra cittadini di prima e di seconda categoria, tra italiani e residenti stranieri, tra giovani e vecchi, tra ricchi e poveri. Sul fronte della lotta alla criminalità organizzata si annunciano continue vittorie, ma la guerra contro l’illegalità, l’evasione fiscale, lo spreco delle risorse pubbliche, l’incompetenza della classe dirigente vede, come si diceva durante il Secondo conflitto mondiale, continue “rettifiche del fronte”, leggi “ripiegamento”, “arretramento”, “ritirata”, “rotta”.
Sul fronte della crescita la “rettifica del fronte” è quotidiana e neppure più dissimulata: il Paese non cresce e l’economia ristagna, il debito si gonfia e la battaglia del futuro è già persa per almeno una generazione. Sul fronte degli armamenti, e cioè le risorse necessarie per combattere la guerra che la globalizzazione ci impone, la produzione, la produzione di una cultura dell’innovazione, è praticamente inesistente. Le istituzioni culturali sono in crisi, quelle educative altrettanto, la ricerca non esiste più e l’istruzione superiore è divenuta una tessera annonaria che garantisce solo la sopravvivenza.
Al fronte, le truppe in prima linea e cioè precari, disoccupati, sottoccupati, giovani senza speranze e pensionati al limite della soglia di povertà, sanno che la “rettifica del fronte” è una “rotta” annunciata; guardano con disincanto al futuro e sono dominati dalla sfiducia e dalla consapevolezza della sconfitta. Diserzioni, abbandoni, fughe. Nelle retrovie e in patria ogni critica, ogni richiamo al buon senso è “sabotaggio” e tradimento.
      Morti per fortuna non ce ne sono e non ci sono bombardamenti. Ma questo conflitto, che ha coinvolto e coinvolge tutti, ha lasciato macerie. Lampedusa, L’Aquila, Parmalat, Napoli e la Campania, l’Expo 2015, il mitico Ponte sullo Stretto, il Federalismo, le infrastrutture, le Riforme strutturali, la cementificazione del territorio segnata da capannoni industriali dismessi e vuoti, i quartieri in degrado, le città abbandonate, sono altrettante Caporetto e i segni di devastazione di un paese occupato da eserciti in lotta che sopravvivono grazie al saccheggio.
     Al vertice dei comandi, in seno alla classe politica e di governo, è già cominciato il fatidico “si salvi chi può”: sopravvivere, fare bottino, sfuggire alla proprie responsabilità. Déjà vu: è un 8 settembre. Si annuncia inevitabile una supertassa patrimoniale che dovrebbe concludere, in nome della solidarietà nazionale, il ciclo del liberismo provvidenziale e del peronismo manageriale che avrebbero dovuto, per il tramite di un demiurgo/leader, rilanciare il paese verso il generale benessere, la crescita illimitata. Ma ce lo ricordiamo il “contratto con gli italiani?
      Le cose, lo sappiamo tutti, stanno più o meno così. Difficile sfuggire all’analogia e alla metafora per raccontare la storia del nostro presente.

È in questo clima “storico” che si celebra questo 25 aprile, la guerra di Resistenza, la Liberazione del Paese dall’odiato Regime.
      Si dirà che questa enfasi è retorica e che l’analogia e la metafora sono ingannevoli. Ma il dato di realtà è che il Paese è in guerra con se stesso, è in permanente conflitto con il patto che lo ha generato, che lo tiene unito e che è l’unica fonte della sua identità sociale e storica: la Costituzione. Questa, piaccia o non piaccia, è una guerra intestina, nasce dentro alle nostre coscienze e si nutre, come ogni guerra, della Paura. Si governa con la sola forza del potere e, di conseguenza, si governa con la Paura.
      E tuttavia è proprio da questo sentimento diffuso che si generano gli anticorpi al declino che rischia di divenire dissoluzione, perché il senso dell’onore e della dignità sono la sola risposta allo smarrimento della Paura. Fu così all’indomani dell’8 settembre e, in qualche modo ancora non definibile, sarà cosi nel presente o nell’imminente futuro.
Resistenza, impegno, liberazione, ricostruzione.
     È questa la sequenza che occorre ripercorrere in occasione di un 25 aprile forse dimenticato come evento storico, ma vivo, di necessità, nella consapevolezza del presente. Non sappiamo con chiarezza se lo sbarco in Sicilia sia già avvenuto, ma sappiamo che ce la dovremo cavare da soli, con fatica, impegno, amicizia e rinnovata fiducia, le uniche armi efficaci contro la Paura.
     E quindi, a tutti, buon 25 aprile. C’è molto da fare e oltre ogni confine di parte e di partito.